mercoledì 29 marzo 2017

Campore, Terredora, 2002

Di Antonio Indovino

Fiano di Avellino DOCG, Campore, Terredora Di Paolo, 2002

Ci troviamo in terra irpina, qui dove la storia dell’uomo è intimamente legata a quella della vite e dei vini che ne derivano. Nel secondo dopoguerra Walter Mastroberardino, con tenacia ed orgoglio, da qui partiva alla volta delle più grandi città italiane per far conoscere i vini che produceva insieme al fratello Antonio nell'azienda di famiglia. Vini unici perchè frutto di varietà tramandate nei millenni, risalenti all'epoca ellenica, e da loro (W. & A.) recuperate e rilanciate. 
Nel 1994 si chiude questo capitolo della vita di Walter che, per una visione differente del futuro, una diversa visione imprenditoriale, si separa dal fratello lasciando a lui la cantina ed il marchio e tenendo per se quelle vigne acquistate nel 1978 e di cui si era fatto portavoce per anni.
È così che a sessant’anni, quando altri al suo posto avrebbero preferito ritirarsi a vita privata, lui decise di intraprendere un nuovo percorso: forte del sostegno e della man forte dei figli Daniela, Lucio e Paolo, nonchè della moglie, Dora Di Paolo. La passione per la coltivazione della vite è il cardine, il movente, il motivo di continuità. È parte integrante del DNA di una famiglia che lega profondamente le sue radici a quelle del vino in un intreccio che risale al 1700 e che, nel secondo dopoguerra, anzichè abbandonare le proprie terre in controtendenza vi ha creduto ed investito nuovamente.
Si decise, quindi, di costruire una nuova cantina dove vinificare le proprie uve e completare il ciclo produttivo. L'ambizione era, e lo è tutt'oggi, quella di produrre grandi vini con la consapevolezza che solo il controllo diretto di tutti i processi produttivi può assicurare quella qualità globale che ne è all’origine.
La scelta cadde su Montefusco per un duplice motivo: pratico (perchè era il fulcro intorno al quale erano dislocate tutte le vigne) e storico (perchè un tempo era il capoluogo del Principato Ultra, una divisione amministrativa dapprima del Regno di Napoli ed in seguito del Regno delle Due Sicilie). La nuova avventura iniziò sotto il nome dell' A.A. Vignadora di Paolo, Lucio & Daniela Mastroberardino ma, nel 1997, Walter decise di cambiare il nome dell'azienda per presentarsi sul mercato con un'identità propria, e non col cognome di famiglia, dall'indubbia storia e tradizione: Terredora di Paolo, in onore della moglie, in onore di quella donna silenziosa, ma al tempo stesso presente ed operosa.
Parlare di Terredora significa parlare di una famiglia unita che si è rimboccata le maniche e che ha costruito il suo successo negli anni. Lucio, poco più che ventenne da subito si è occupato dell'aspetto enologico, strizzando un occhio all'export grazie anche al suo dinamismo. Paolo, anch'egli enologo, si è occupato della rete commerciale. Daniela, oltre al ruolo amministrativo, ha iniziato a curare le public relations. Ed infine Walter, temerario ed uomo immagine come sempre....
Poste le basi organizzative, si è puntato immediatamente al fattore di unicità ampelografica e morfologica racchiusa nel territorio irpino. Concetti imprescindibili da avvalorare soprattutto con un attento e costante allevamento delle vigne in equilibrio con l'ecosistema circostante: un approccio biodinamico per credo, e non per marketing.
Anno dopo anno, oltre alla vinificazione in purezza delle diverse varietà d'uva, ci si è spinti alla selezione ed alla diversificazione tra le vigne. Un concetto simile a quello di "cru" utilizzato in Francia, ed avallato dalla effettiva diversità nei suoli e nelle esposizioni: differenze che inevitabilmente si traducono in vini che parlano dei loro diversi territori di provenienza. Una continua ricerca della perfezione, una sfida contro se stessi in primis condotta direttamente su due campi di gioco: 200ha di vigne e la cantina! 

Dagli inizi, ovvero dalla ripartenza sotto un profilo diverso, sono trascorsi poco più di 20 anni: un lasso breve, ma sufficiente a raggiungere importanti traguardi e riconoscimenti. Secondo Wine Spectator Terredora nel 2004 è stata Uno dei 50 Grandi Produttori del Mondo che ogni Appassionato di Vino dovrebbe Conoscere e, nel triennio 2006-07-08, almeno un suo vino si è classificato tra i Migliori 100 al Mondo.  Nel 2006 Lucio è stato nominato Miglior Produttore di Vini Bianchi nel Mondo all' International Wine Challenge di Londra. Sempre Lucio, dapprima Vicepresidente di Unione Italiana Vini dal 2004, ne è divenuto poi Presidente nel 2010.
Una escalation notevole nella quale oggi si vuole credere ancora, nonostante la triste scomparsa di Lucio nel 2013. Paolo da allora si è fatto carico del suo ruolo in cantina, curando quindi l'aspetto enologico, Daniela invece ha assunto in controllo del mercato estero: il tutto nel pieno rispetto e nella continuità di idee secondo il modus operandi di Lucio!  

Quest'oggi ho avuto la fortuna di degustare una vecchia annata del Fiano di

Avellino Campore, la 2002.
Sono qui a parlarne con grande orgoglio perchè io stesso credo nelle grandi potenzialità e dell'unicità della regione in cui vino.
Il Campore è ottenuto da Fiano in purezza, allevato e raccolto nella vigna di Lapio.
È frutto di una vendemmia tardiva che avviene solitamente a fine Ottobre. Le uve, dopo una attenta selezione, vengono vinificate per 1/3 in acciaio per poi completare la fermentazione in tonneax. Il vino resta a maurare in legno per 5/6 mesi circa, a contatto con le fecce fini, cui segue un affinamento minimo in borriglia di ulteriori 6 mesi prima della commercializzazione.

Nel calice si presenta con una vivida e consistente veste dai bagliori dorati. Al naso da subito regala un notevole e variegato bagaglio di profumi. Prime su tutte la nota affumicata di nocciole tostate, ed i sentori di resina di pino e muschio. In seconda istanza emergono le note di ananas e zenzero candito, seguite da profumi che ricordano le pesche sciroppate. Il sorso è pieno, avvolgente ed ancora caratterizzato da una buona freschezza e sapidità.
Lunga e coerente la chiusura di bocca, in cui si ripetono principalmente il timbro fumè e quello balsamico. 

Questo Campore 2002 è uno di quei vini che andrebbero stappati con qualche oretta di anticipo, di cui si può sicuramente apprezzare l'escalation in un ampio calice, sorso dopo sorso, a patto che non si scenda mai al di sotto dei 12°C. Col senno di poi, dopo averlo bevuto, penso che ci siano 2 scenari possibili: meditarci su in buona compagnia o addirittura azzardare l'abbinamento con un piatto di Tagliolini al Tartufo.....quello bianco ovviamente. A voi la scelta!


Prezzo in enoteca: 15-20€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: www.terredora.com

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia, 
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina

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martedì 21 marzo 2017

Monte di Grazia Rosso, 2009

Di Antonio Indovino

Campania Rosso IGT, Monte di Grazia, 2009

Eccomi qui, ancora una volta, a parlare di un vino dell'Azienda Monte di Grazia.
Avendone già scritto in precedenza, Vi rimando alle altre degustazioni (link), ed in particolare a quella del "Rosato 2012" (link) per le informazioni di natura storica ed il contesto orografico.

Impossibile non restarne affascinati, impossibile non innamorarsi di vini che sembrano raccontarti nel calice quello che si vive passeggiando tra quelle vecchie viti centenarie di Tramonti, maritate tra loro. Si respira un'aria d'altri tempi tant'è radicata la tradizione agricola e pastorale, e tutto intorno sembra scorrere lentamente. Vini d'autore, se così si può dire, per la loro originalità: frutto di un attento e rispettoso lavoro in vigna ed in cantina. Frutto di un uomo, il Dott. Arpino, che fa della semplicità e della genuinità uno stile di vita. Passeggiando tra le vigne, insieme a lui, si viene rapiti dagli aneddoti di vita vissuta, la sua e quella della sua famiglia, in quella vallata che custodisce varietà antiche come il Tintore di Tramonti! Una varietà unica, per l'appunto, che con grande dispendio economico e di forze fisiche si cerca di portare avanti con orgoglio, nonostante sia poco produttiva per via della scarsa allegagione: motivo per cui aziende agricole ben più grandi, e non a carattere pressocchè familiare come Monte di Grazia, lo hanno abbandonato. A stento si riescono a raggiungere delle rese di 30 q/ha o poco più, nonostate il sistema di allevamento sia a raggiera e nonostante si cerchi di aumentare la densità d'impianto per talea, maritando poi le viti più giovani a quelle centenarie: una pratica comunque già diffusa in passato e ben riconoscibile osservando i ceppi stessi.


 
Quest'oggi sono qui a parlarvi proprio del rosso aziendale ottenuto dal Tintore, con un 
piccolo saldo di Piedirosso che oscilla intorno al 10%, a seconda della vendemmia.
Non una delle ultime annate, la 2009, a testimonianza anche della longevità di questi vini. Tutte le lavorazioni in vigna vengono effettuate unicamente a mano, compreso la raccolta che avviene in piccole cassette.
Una volta trasportate le uve in cantina, vengono diraspate e fatte fermentare in tini di acciaio ad opera dei lieviti indigeni, con una macerazione pellicolare che dura in media dai 10 ai 12 giorni. Il vino resta a contatto con le fecce fini per 4/5 mesi circa, periodo durante il quale svolge totalmente la "fermentazione" malolattica. Secondo annata, ma non'è il caso della 2009, vi è talvolta un piccolo passaggio in botte grande.
Dopo la sfecciatura completa la sua maturazione in acciaio fino alla seconda vendemmia successiva, per poi essere imbottigliato e commercializzato nelle 4000 bottiglie mediamente prodotte.

Calice alla mano ci troviamo di fronte ad un vino dalla vivida veste granata, molto composto nelle roteazioni del calice e di discreta trasparenza.
Al naso gioca le sue prime battutte su profumi che ricordano la confettura di mirtilli, le amarene sotto spirito e le violette passite. Man mano che prende respiro emergono note che riconducono all'incenso ed alla legna arsa, nonchè toni ematici e di pelliccia animale: il tutto su un sottofondo di lavanda selvatica, quasi a ricordare i cespugli che crescono rigogliosi e spontaneamente fuori alla porta di casa del Dott. Arpino.
In bocca è morbido, dotato di una grande spinta fresco/sapida e di un tannino tra le righe, ben integrato, ma presente.
Completa il tutto una chiusura di bocca che insiste soprattutto sui richiami ematici ed animali.


Ho avuto modo di apprezzare il rosso di Monte di Grazia in un calice piuttosto ampio ad una temperatura di circa 16°C, dopo averlo stappato con un'oretta di anticipo. Personalmente ritengo che possa essere il giusto compagno di un piatto di Candele Spezzate alla Genovese, con le Costine di maiale.

Prezzo in enoteca: 15-20€
Contatti: montedigrazia.eu


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia, 
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina

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mercoledì 15 marzo 2017

Coda di Volpe, Fattoria La Rivolta, 2006 (Magnum)

Di Antonio Indovino

Taburno Coda di Volpe DOC, Fattoria La Rivolta 1812, 2006 (Magnum)

Ci troviamo a Torrecuso, in provincia di Benevento, e più precisamente nella Contrada Rivolta. Un tempo feudo Longobardo ed in seguito scenario di una rivolta contro il Feudatario, questa piccola località ha conservato nel nome "La Rivolta" quell'episodio storico, venendo così riportata sulle Carte Geografiche e Militari.
La storia dell'Azienda è iniziata nei primi del '900 dal matrimonio di due eredi di famiglie contadine che, dall'unione dei poderi, diedero vita alla più grande realtà agricola dell'intero comprensorio. I cambi generazionali, le successioni e le divisioni dei beni, hanno incrociato poi il destino di Paolo Cotroneo nel 1997.
Farmacista di professione, all'epoca sommelier per passione (da circa 10 anni) ed enoturista, si è ritrovato così a gestire la quota paterna dell'azienda di famiglia. La passione per il vino aveva fatto maturare in lui un'idea ben precisa riguardo ad un'azienda vitivinicola ed alla viticoltura: un'idea che si sarebbe dovuta concretizzare nella sua tenuta! Innanzitutto l'azienda avrebbe dovuto completare l'intera filiera, fino all'imbottigliamento, e non limitarsi alla sola produzione di uve come era avvenuto fino ad allora. Da qui parte una vera e propria rivoluzione. 

Si inizia col restauro della vecchia masseria del 1812 (la data è incisa sul portale della stessa), la quale era stata edificata sulle rovine di un casolare di fine '700.
Durante i lavori si è scoperto che era stata utilizzata la pietra di Vitulano, tipica della zona, e che era stato adoperato nel corso degli anni del tufo per ripristinare i crolli di alcune mura. Dettagli che raccontano più di 200 anni di storia e che Paolo decise di riportare a vista come testimonianza degli stessi, unitamente a quello che un tempo sarebbe stato l'ingresso principale della bottaia, nascosto dalla "tompagnatura" esterna.
In contemporanea si è intervenuti nel vigneto, in cui la facevano da padrona un sistema di allevamento (tendone) e varietà molto produttive, ma non autoctone (trebbiano, montepulciano, sangiovese, malvasia).
Sono stati conservati 3 soli ettari di vecchie vigne (50 anni) di Aglianico, Piedirosso e Coda di Volpe, ripiantando esclusivamente vitigni tipici e con un sistema di allevamento a spalliera: puntando indubbiamente sulla qualità del prodotto finale. La superficie vitata è stata estesa a 29ha totali, lungo il declivio collinare su cui si trova la cantina stessa, con una quota altimetrica media che oscilla tra i 250 ed i 350 m s.l.m.



Da subito si è optato per un approccio "bio" nella conduzione del vigneto: una scelta coraggiosa, a maggior ragione, se si pensa che all'epoca non vi era alcun tipo di contributo a supporto. Addirittura si è andati oltre le norme della C.E. che regolamentano la vitivinicoltura biologica, aderendo volontariamente ai più restrittivi dettami del disciplinare dell'istituto svizzero DELINAT.

A tutto ciò va sommato, ancora una volta, l'approccio integralista di Paolo che dal primo istante ha fortemente voluto la trasparenza delle sue etichette. 
Infatti, nonostante i disciplinari di produzione (DOC Sannio e DOCG Aglianico del Taburno) consentano saldi con altre varietà ammesse, i suoi vini sono espressione in purezza del vitigno, con l'unica eccezione del Sogno di Rivolta (una riserva da falanghina, fiano e greco).
Pertanto Fattoria La Rivolta, il nome scelto per l'azienda e che ricorda il trascorso storico del posto (unitamente alla raffigurazione in etichetta di 2 cavalieri longobardi che si affrontano), è stata una delle prime 4 realtà a vinificare la Coda di Volpe in purezza.
Nel corso di questi anni Paolo è diventato un produttore affermato che, con orgoglio, può vantare numerosi riconoscimenti per la sua azienda ed i suoi vini: anche a livello internazionale. Una buona parte del merito va soprattutto alla professionalità con cui l'enologo Vincenzo Mercurio cura sia l'aspetto agronomico che enologico. Una partnership che, a detta dello stesso Paolo, non può che dare grandi risultati alla luce del confronto e del rispetto reciproco in tutte le decisioni che vengono prese.


Quest'oggi sono qui a parlarvi proprio del vino ottenuto dalla varietà in cui sono stati pionieri, la Coda di Volpe. Non l'ultima annata in commercio, ma bensì una magnum del 2006: un cadeau di Paolo Cotroneo, stappato alla fine della visita in azienda, e per cui tutto il gruppo che era con me gli sarà sicuramente grato.

Le sorprese sono arrivate nel calice, a partire già dalla splendida e vivida veste tendente al dorato. Al naso ha regalato non poche emozioni: dapprima sono emersi profumi di albicocche candite, cui si sono avvicendati richiami di té alla pesca, di mandorle secche, di gesso e di pepe bianco, per poi concludere su ricordi di eucalipto e cosmesi. Il sorso si è rivelato teso e carezzevole al contempo, per nulla cedevole, sorretto ancora da una buona spalla acida e da una notevole sapidità.
La chiusura di bocca è un degno completamento, di discreta lunghezza, con richiami soprattutto pepati e di cipria.


Ho avuto modo di apprezzare questo magnifico vino in un calice abbastanza voluminoso, ad una temperatura compresa tra i 12 ed i 14°C, e di poterne apprezzare l'evoluzione nel calice per un'oretta almeno.
Personalmente preferirei meditare su di un vino del genere, ma se dovessi sbilanciarmi ed azzardare ad ogni costo un abbinamento, lo farei volentieri con una Parmigiana di Zucchine, purchè sia in bianco e con una leggera spruzzata di pan grattato in superficie.
 

Prezzo in enoteca: 5-10€ (riferito al formato da 75cl delle ultime annate in commercio)
Contatti: fattorialarivolta.it 

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina

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giovedì 9 marzo 2017

Donna Candida, Cautiero, 2007

Di Antonio Indovino

Sannio Aglianico DOC, Donna Candida, Cautiero, 2007

Ci troviamo nel Sannio, più precisamente nel Frasso Telesino, sul versante occidentale del Parco Regionale del Taburno-Camposauro.
Il Parco, interamente ubicato all'interno della provincia di Benevento, rappresenta uno dei più importanti e suggestivi complessi naturalistici della Regione Campania: un vero e proprio "polmone verde" in cui prevalgono le tradizioni agricolo-pastorali.
È qui che nel 2002 nasce l’Azienda agricola Cautiero. Fulvio ed Imma, compagni di vita, riscoprono l'amore e la passione per la terra tramandatagli dai nonni ed indissolubilmente legati ai ricordi di quei momenti di convivialità durante le vendemmie "in famiglia".
Così inizia un lungo e faticoso lavoro che porta alla rinascita della Masseria Donna Candida e dei suoi vigneti: alla realizzazione del loro sogno.
Con grande entusiasmo danno vita ad una piccola azienda a "misura d'uomo", da condurre direttamente ed in cui lavorare con le proprie mani in tutte le fasi: dalla vigna alla cantina. L'obbiettivo da raggiungere è produrre vini di qualità ed al contempo rispettare quell'ecosistema "vigna" in cui dover lavorare.
Pertanto, come primo passo, si è deciso di analizzare i suoli per poi adeguarsi nella scelta di varietà che potessero trovarvi il loro equilibrio e crescere senza forzature.
Suoli mediamente acclivi, franco-argillosi, ricchi di potassio e dallo scheletro calcareo, difficili da lavorare, squarciati da crepe che si formano sotto il sole estivo e pesanti per effetto delle piogge invernali: un habitat quanto mai idoneo alle varietà autoctone che da secoli vi vengono coltivate.
Con la consulenza agronomica ed enologica di Alberto Cecere, l’azienda prende il via con un approccio BIO, integrandosi perfettamente nell'ambiente circostante. Sempre per il rispetto ambientale, è stato poi creato un impianto fotovoltaico per ridurre i consumi energetici e l’inquinamento atmosferico.
La cantina, scavata nella roccia e rivestita di tufo, è stata realizzata in prossimità delle vigne per favorire (ovviamente) la totale manualità nelle lavorazioni in vigna, soprattutto in fase di raccolta.
Non solo vini però, visto che all'interno della masseria è stato ristrutturato anche un antico casolare settecentesco dove soggiornare e rilassarsi godendo della vista dei vigneti.


Quest'oggi sono qui a parlarvi del rosso più pretenzioso dell'Azienda Cautiero, il
Donna Candida. Non l'ultima release sul mercato ma un'annata storica, la 2007, che ho avuto la fortuna di riassaggiare, grazie a Fulvio, ad una degustazione qui in penisola.
Donna Candida è una riserva di Aglianico che nasce solo nelle migliori annate. Le viti sono allevate a spalliera, con potatura a guyot e cordone speronato, ed una densità d'impianto di 4000 ceppi/ha. Ad una bassa resa in vigna, che oscilla intorno ai 70 q/ha, segue una vinificazione in acciaio ed un élevage in barriques di 24 mesi, con un affinamento minimo di 6 mesi in bottiglia prima della commercializzazione.

Nel calice il vino ha una fitta e vivida trama dalla tonalità rosso granato.
Al naso regala profumi che ricordano la confettura di ciliegie e prugne, di liquirizia, di humus e cuoio.
Il sorso è morbido e carezzevole in ingresso, ma un'istante mostra tutto il suo carattere: ha freschezza da vendere, una fitta e matura trama tannica ed una buona dose di sapidità. Chiude rimarcando a lungo soprattutto i toni scuri e terrosi.

Ho avuto modo di degustare il Donna Candida 2007 in un calice abbastanza voluminoso ad una temperatura pressocchè ideale di 16/17°C.
Nonostante fosse già stato aperto da mezz'ora almeno avrebbe meritato più tempo e pazienza e sicuramente avrebbe saputo ripagare al meglio l'attesaa: ad una degustazione però i tempi stringono!
Magari in futuro avrò l'occasione di riassaggiarlo con la dovizia necessaria, consapevole fin d'ora di trovarlo in splendida forma.
Ad averne una bottiglia, penso che sicuramente potrebbe giocarsela con una Guancia di Vitello brasata con del Tartufo Nero affettato.

Prezzo in enoteca: 15-20€ (per l'ultima annata in commercio, la 2011)
Contatti: www.cautiero.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia, 
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina

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mercoledì 1 marzo 2017

Taurasi Radici Riserva, Mastroberardino, 1999

Di Antonio Indovino

Taurasi Riserva DOCG, Radici, Mastroberardino, 1999

Ci troviamo in provincia di Avellino, più precisamente ad Atripalda.
È qui che la famiglia Mastroberardino, secondo ricostruzioni storiche riportate nel catasto borbonico, edificò le sue cantine dando vita ad una discendenza legata indissolubilmente al mondo del vino irpino sin dalla metà del '700.
L'era moderna dell'azienda inizia nel 1878, con Angelo Mastroberardino, che avvia le esportazioni dei vini di famiglia dapprima in Europa e poi in America grazie al figlio Michele.
Il successivo cambio generazionale, dal secondo dopoguerra, ha visto al timone Antonio Mastroberardino: appena 17enne ed orfano di padre.
I danni causati dalla fillossera e dalle guerre sono state una battuta d'arresto non facile da superare, ma, il forte legame territoriale e la voglia di credere nella biodiversità irpina sono state le motivazioni della rinascita sotto lo stesso sole dei Mastroberardino.
Mentre l'irpinia tutta decideva di virare verso varietà più produttive, Antonio, forte delle esperienze acquisite dal padre, della laurea in Chimica e degli studi enologici a Bordeaux, ha condotto una grande opera di ricerca, sperimentazione, recupero e rilancio dei biotipi più antichi.
Uno sforzo a dir poco notevole, atto a salvaguardare l'identità di un territorio e dei suoi vini, frutto proprio di quella viticoltura autoctona e tradizionale le cui origini risalgono alla colonizzazione greca ed alla civiltà romana. Un impegno grazie al quale il mondo del vino irpino può legittimamente annoverare i suoi vini tra i più importanti e significativi del panorama nazionale e non solo. Basti pensare al Fiano per un esempio più che pertinente: da varietà a rischio estinzione negli anni '50, causa la sua scarsa produttività, a tipoligia d'uva di gran pregio che ai giorni d'oggi  viene impiantata anche oltre oceano (Australia e California).
La dedizione in tal senso, nonchè la diffusione e la promozione della qualità e dell'originalità dei vini irpini, sono valse come motivazioni per due importanti riconoscimenti: uno ufficiale di Cavaliere al Merito del Lavoro, ed uno ufficioso di archeologo della vite e del vino.



Gli anni '90, gli stessi in cui sono arrivati riconoscimenti ed onoreficenze, sono stati anche gli anni della separazione dal fratello Walter (al suo fianco in azienda per quasi 50 anni) e del passaggio del testimone al figlio Piero. Viticultore alla decima generazione, nonchè Professore Ordinario di Business Management e presidente dell’Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marchi dal 2015, Piero conduce l'azienda di famiglia nella rincorsa ad obiettivi ancor più ambiziosi: esaltare l'espressione varietale delle uve e minimizzare l'impatto ambientale.   
Da qualche anno, infatti, l’azienda ha avviato un progetto di ricerca finalizzato alla selezione di lieviti dalle uve dei propri vigneti. I criteri di selezione tengono conto dell’interazione dei lieviti nell'ecosistema vigna per favorire una maggiore espressioni territoriale dei vini.
Al contempo Mastroberardino è stata un'impresa pilota nel programma di sostenibilità "Water & Carbon Footprint", in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente, conseguendo la certificazione “VIVA Sustainable Wine”, grazie al controllo costante dei processi produttivi atto a ridurre le emissioni ed i consumi idrici ed energetici.


Quest'oggi ho avuto la fortuna di riportare le mie personali impressioni sul rosso
eletto ad esprimere al meglio le peculiarità dell'Aglianico in terra irpina: il Taurasi Radici Riserva, di cui ho degustato la 1999.
È stato prodotto per la prima volta nel 1986, dalla vigna di Montemarano, un sito storico di 14ha d'estensione situato nella zona più a sud dell’areale di produzione
Qui le decise escursioni termiche e l’andamento più lento delle maturazioni determinano le condizioni per una raccolta tardiva ed una concentrazione tale da esaltare i caratteri di longevità di questa varietà.
La vigna è ad un'altitudine compresa tra i
500 ed i 650 m s.l.m., esposta a sud-est, allevata a spalliera con potatura a cordone speronato, una
densità d’impianto di 3.500 ceppi/ha e una resa di circa 45 q/ha.
Il protocollo di vinificazione prevede una
lunga macerazione con le bucce, seguita da una maturazione in barriques di rovere francese e di slavonia di 30 mesi ed un'affinamento minimo in bottiglia di 36 mesi prima della commercializzazione.

Nel calice si presenta con una granata e vivida veste dall'orlo aranciato, di buona trasparenza. Al naso regala un ampio ventaglio olfattivo dal quale emergono note di legno di sandalo, di cioccolato ed amarene sciroppate, di menta e liquirizia, di tabacco e caffè tostato, ed infine terrose e balsamiche.
Il sorso è di rara eleganza, morbido ma sorretto da una notevole freschezza, una fitta e matura trama tannica, ed una piacevole sapidità
Lunghissima la chiusura di bocca in cui si ripetono gli aromi di frutta sotto spirito, di cioccolato  e balsamici.

Andrebbe apprezzato in un ampio calice ad una temperatura che idealmente dovrebbe aggirarsi intorno ai 18°C, dopo averlo aperto e decantato con qualche ora di anticipo, preferendo una caraffa non molto ampia che eviti un'eccessiva ossigenazione e ne precluda una più piacevole evluzione nel bicchiere.
Ritengo che possa ben accompagnare un brasato di Capocollo di Suino Nero Casertano.


Prezzo in enoteca: 25-30€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: www.mastroberardino.com

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia, 
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina

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E’ vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dall’autore.
Copyright © Il Narratore Enoico by Antonio Indovino. All rights reserved.


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