venerdì 30 marzo 2018

Melizie, Mastroberardino, 2013

Di Antonio Indovino

Irpinia Fiano Passito DOC, Melizie, Mastroberardino, 2013

È sempre un onore poter parlare di un vino dell'Azienda Mastroberardino: per i 300 anni (o poco meno) di tradizione che portano sulle spalle, per il ruolo fondamentale nello sviluppo della viticoltura campana nel secondo dopoguerra e per il recupero e la salvaguardia delle varietà autoctone della nostra regione. Ho già avuto occasione di raccontare la loro storia e di parlare di un loro vino, il Taurasi Radici Riserva 1999. Pertanto seguendo questo (link) potrete sicuramente trovare maggiori informazioni di natura storica ed orografica. 
Quest'oggi vi parlo del Melizie, un passito da Fiano in purezza prodotto nella tenuta di Santo Stefano del Sole. Nella parte più alta della vigna, a circa 600m di altitudine, grazie alle particolari condizioni climatiche che si verificano nel periodo autunnale, ed alla costante ventilazione, si vendemmia tardivamente nel mese di Novembre beneficiando dell'attacco della Botrite. Alla bassa resa in vigna di cira 60q/ha si aggiunge la concentrazione data da 2 mesi di appassimento, che portano ad un ulteriore calo di peso del 75%. Questi acini fortemente concentrati vengono vinificati in acciaio, dove il vino sosta per 6 mesi sulle fecce fini, ed affina per un minimo di 12 mesi in bottiglia prima della commercializzazione.

Il vino del millesimo 2013 ha una densa veste, tinta di un color oro molto luminoso, quasi brillante, ed attraversata da bagliori che ricordano l'ambra. Sin dalla vista denota la sua struttura e concentrazione per l'incedere lento e composto durante le roteazioni del calice, e per il modo in cui si aggrappa alle pareti con una lacrimazione lenta, fitta e regolare. Al naso tanta frutta e dolcezza, riconducibile ai profumi di pesca sciroppata, di albicocca secca, agrumi canditi, miele e mou, tra cui fanno capolino dei profumi cineritici, balsamici e di zafferano. In bocca è d'impatto, opulento, carezzevole, opportunamente bilanciato e sorretto da una grande freschezza, mascherata in parte dalla dolcezza certamente non trascurabile, ed una sapidità che dona un piacevole pizzicore tattile. A completare questo quadro armonioso, infine, una lunga carrellata aromatica in cui si ripetono didascalicamente le sensazioni emerse sul piano olfattivo.

Un grande passito, un "muffato" che non mi sarei aspettato in Irpinia, e che potrebbe ben figurare sulle nostre tavole a Pasqua, servendolo a 12°C in abbinamento alla Pastiera napoletana.


Prezzo in enoteca: 15-20€
Contatti: www.mastroberardino.com

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 

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L'Apparita, Castello di Ama, 1997

L'Apparita 1997
Di Antonio Indovino

Toscana Rosso IGT, L'Apparita, Castello di Ama, 1997

Ci troviamo a Gaiole in Chianti, ad Ama per l'esattezza, in un piccolo borgo medievale posto sulle colline a quasi 500 metri sul livello del mare. Un tempo era dimora delle Casate più importanti del chiantigiano, i Pianigiani, i Ricucci ed i Montigiani, che hanno investito tanto nella viticoltura di queste colline, contribuendo in maniera significativa al blasone dei grandi vini toscani, ed alla tradizione che è stata fortunatamente portata avanti nei secoli a venire. Negli anni '70 le famiglie Carini, Sebasti e Tradico, comprano circa 65ha di vigne proprio su queste colline, in 3 conche naturali, chiamate Bellavista, La Casuccia e San Lorenzo, e nel 1976, con la prima annata, fondano l'Azienda Castello di Ama: che prende il nome dal borgo omonimo. L'intento, sin dalle prime battute, è stato quello di produrre vini che fossero all'altezza del blasone che i vini Toscani si erano conquistati in circa 500 anni di storia, ed in seguito, nel 1997, raggiungono l'attuale superficie vitata di 80ha con l'ultimo vigneto, quello di Montebuoni. Oggi Castello di Ama è di proprietà delle stesse famiglie che l'anno fondata, condotta dalla generazione successiva e curata sul piano enologico da Marco Pallanti, marito di Lorenza Sebasti: toscano di origine, e cresciuto professionalmente tra la Francia e la sua terra natìa, sino a ricevere nel 2003 il titolo di enologo dell'anno!

Quest'oggi vi parlo dell'Apparita, il primo Merlot toscano in purezza, prodotto a partire dal 1985 da diverse parcelle  (3.84ha totali) poste alla sommità del Vigneto Bellavista. Queste vigne, impiantate nel 1975 con Canaiolo e Malvasia Bianca, sono state reinnestate tra il 1982 ed il 1985 a Merlot, allevato a Lira Aperta su questo suolo particolarmente ricco di argilla.

Ho avuto la fortuna di degustare la 1997, un'annata storica e ritenuta tra le migliori in assoluto del secolo scorso. Il Merlot è stato vinificato in barriques nuove di rovere di Allier, dove ha svolto anche la malolattica, con una macerazione pellicolare di 23 giorni. In seguito ai travasi post-fermentativi, il vino è tornato nuovamente in barrique dove ha maturato per 15 mesi prima dell'imbottigliamento.

Nel calice si presenta con una vivida, fitta e consistente veste dal colore granato. Il naso è di grande impatto, scuro, terroso e profondo nei primi frangenti, caratterizzato altresì da profumi di cuoio, tabacco, chiodi di garofano, ginepro e radice di liquirizia. Poco alla volta, prendendo respiro, nel calice ha iniziato ad arricchirsi di toni più ariosi, balsamici, ed impreziositi da richiami di confettura di prugne, di amarene sotto spirito e di cioccolato. Il sorso è d'impatto in ingresso, ha corpo, avvolge e prende possesso del palato con disinvoltura, forte di una incredibile freschezza che lo rende vivo e dinamico, e di una grande sapidità che lo rende ancor più stimolante. La trama tannica è di pregevole fattura, sia per estrazione che per maturità fenolica, e questi anni in bottiglia hanno saputo donare, sicuramente, questa finezza che solo un grande vino può raggiungere. Di assoluta piacevolezza, infine, è la chiusura di bocca, perfettamente rispondente, lunghissima, ed in cui la fanno da padrona soprattutto la frutta ed il cioccolato.

Un grande rosso, probabilmente non facile da trovare in giro, ma sicuramente il degno compagno di occasioni importanti come il pranzo pasquale, e di piatti importanti a base di agnello. I requisiti necessari? Oltre alla bottiglia, l'accortézza nel doverlo stappare qualche ora prima di pranzo, una caraffa non molto ampia per separarlo dai depositi, e degli ampi calici in cui servirlo intorno ai 16°C, godendosi la sua escalation senza fretta e senza strapazzarlo troppo! 

Prezzo in enoteca: 150-200€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: www.castellodiama.com


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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giovedì 29 marzo 2018

San Matteo, Alfonso Rotolo, 2016

Di Antonio Indovino

Fiano Peastum IGP, San Matteo, Alfonso Rotolo, 2016

Fiano San Matteo 2016
Siamo a Rutino, nel Cilento, sulla cresta di una collina a circa 400 metri s.l.m. Qui la famiglia Rotolo produce vino da almeno tre generazioni, come testimonia il primo vigneto (ancora in produzione) che venne impiantato da nonno Alfonso nel 1938. Nel secondo dopoguerra è iniziata la vendita dei vini sfusi, destinata soprattutto a clienti privati, e portata avanti da papà Francesco. Poi è arrivata la svolta con Alfonso, nipote del fondatore, che ha vissuto la sua infanzia tra le vigne di famiglia, rivivendo ed innamorandosi anno dopo anno della vendemmia e della nascita dei nuovi vini. È così che ha deciso di ampliare il suo bagaglio con gli studi in Enologia alla Federico II, ha rimodernato la cantina, ed ha iniziato ad imbottigliare ed etichettare la sua produzione. Attualmente l’azienda si estende su circa 7 ettari di vigneti, in cui vengono allevate principalmente le varietà  autoctone: il Fiano l’Aglianico, ed il Piedirosso. La produzione annua si aggira intorno alle 60.000 bottiglie, ed Alfonso conduce personalmente tutte le operazioni con la stessa passione di quando era ragazzino: quella che gli hanno trasmesso il papà ed il nonno. 

Quest’oggi vi parlo del San Matteo, un Fiano prodotto nel vigneto di Fontanelle, proprio a Rutino, e che matura per 6 mesi in acciaio sui propri lieviti prima dell’imbottigliamento. Nel calice il vino ha un colore paglierino carico, vivido e cristallino, attraversato da lievi riflessi dorati. Al naso tutto ciò si riflette in un bouquet maturo di mela golden e di fiori di ginestra carnosi, che dominano la scena completata da note di sottofondo che ricordano le erbe mediterranee e la salsedine. Il sorso è deciso in ingresso, avvolge il palato con una composta e carezzevole sensazione pseudocalorica, ed è sostenuto da un'adeguata freschezza ed una piacevolissima e coerente scodata sapida, che si intreccia ai rimandi fruttati ed erbacei. Un bianco da bere a 10°C in abbinamento a degli Spaghetti alla chitarra con Gamberi e Zucchine.

Prezzo in enoteca: 5-10€
Contatti: www.alfonsorotolo.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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mercoledì 21 marzo 2018

Vigna del Vulcano, Villa Dora, 2007

Di Antonio Indovino


Lacryma Christi del Vesuvio DOC, Vigna del Vulcano, Villa Dora, 2007 

Vigna del Vulcano 2007
È sempre un piacere poter raccontare di un bianco del mio territorio, a maggior ragione della loro tangibile longevità e dell'espressione nel calice che sanno regalare sulla distanza. Villa Dora è proprio una delle aziende capaci di raccogliere questo tipo di sfide, ed altrettanto capace di restituire risultati che agli inizi erano soprendentemente positivi, ma che oggi sono una conferma a cui ci stiamo fortunatamente abituando. Ho avuto modo in altre occasioni di raccontare dei loro vini (link) e della loro storia (link), e pertanto non mi ci soffermo, invitando chi è curioso a seguire i "link" agli articoli precedenti.

Ho avuto la fortuna di assaggiuare per l'ennesima volta il loro bianco più ambizioso, il Vigna del Vulcano, non l’ultima annata commercializzata, ma la 2007: proprio a voler sottolineare il potenziale evolutivo dei vini vesuviani. È ottenuto da Caprettone e Falanghina impiantati nel 1985, allevati a spalliera, con potatura a guyot ed una densità d'impianto di 5000 ceppi/ha. Le rese sono contenute entro i 70 q/ha, e la fermentazione avviene in acciaio a temperatura controllata, preceduta da una macerazione pellicolare a freddo di 6 ore circa, e seguita da una permanenza sulle fecce di circa 8 mesi prima dell'imbottigliamento.

A 10 anni pieni dalla vendemmia si presenta in splendida forma nel calice, tinto di un paglierino vivido e cristallino che vira verso l'oro. Di grande impatto al naso, regala profumi di pesca sciroppata, anice stellato, mandorla dolce e macchia mediterranea, su uno sfondo affumicato e sulfureo. Il sorso è morbido ed avvolgente, equilibrato da una buona dose di freschezza ed una piacevole sferzata sapida, completato da una lunga chiusura in cui si ripetono i toni fumè e di erbe aromatiche. 

Un bianco da apprezzare al pieno in un calice piuttosto ampio, servito tra i 10 ed i 12°C, abbinandolo magari ad un piatto di Spaghetti con Cozze e Patate affumicate.

Prezzo in enoteca: 20€
Contatti: www.cantinevilladora.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 

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venerdì 9 marzo 2018

Masseto: viaggio nel mito e racconto di due annate, 1999 e 2000

Di Antonio Indovino

Toscana Rosso IGT, Masseto, Tenuta dell'Ornellaia, 1999 e 2000


Parlare oggi di Masseto significa parlare di Ornellaia, della Famiglia Frescobaldi e di una storia che inizia nel 1981. Ci troviamo a Bolgheri, una frazione di Castagneto Carducci, al centro della Maremma Livornese: sulle ultime propaggini delle Colline Metallifere, il principale e più esteso sistema collinare e montuoso dell'Antiappennino toscano. Qui il Marchese Lodovico Antinori, dopo aver fondato l'Ornellaia, fece piantare i primi vigneti nell'82 con l'intento ben preciso di produrre vini di pregio assoluto. A tal scopo decise di affidarsi all'enologo russo-americano Andrè Thcelicheff, dal talento indiscusso, che dopo gli studi in Francia ebbe il merito di rendere grandi i vini della Napa Valley. Dietro al suo arrivo in Italia c'è stato lo zampino di Luigi Veronelli, il portavoce per antonomasia della cultura eno-gastronomica italiana nel mondo. Thcelicheff lavorava già per gli Antinori in California e Veronelli, dopo averlo conosciuto personalmente, lo convinse al confronto con gli enologi di maggior peso del Bel Paese. Fu così che Andrè approdò a Bolgheri, dove conobbe Lodovico e ne sposò immediatamente la causa: produrre dei vini unici per struttura e finezza, sulla stregua del Marchese Mario Incisa della Rocchetta (zio di Lodovico). Il talentuoso e visionario enologo era un grandissimo estimatore del Merlot, e percepì immediatamente che la collina alle spalle della cantina potesse essere il suo habitat ideale. Difatti quest'area, in origine una palude costiera, è ricca di argille plioceniche miste a frammenti rocciosi di natura erosiva, adagiate su un'importante sub-strato marino: codizioni a dir poco peculiari per la varietà bordolese. Fu così che nel 1984 venne piantato il vigneto del Masseto, un Cru di 6,63ha, che diede vita alle prime bottiglie di "Merlot" con l'annata '86, ribattezzate poi col nome Masseto dal 1987 in poi. È così che è nata una vera e propria icona, uno dei 3 vini italiani più costosi in assoluto, le cui annate storiche vengono battutte dalle principali case d'asta nel mondo! Tutti si chiederanno il motivo di tale fama, la ragione per cui tali bottiglie, appena uscite sul mercato, sono subito preda di collezionisti ed appassionati. La risposta è nel bicchiere, che è conseguenza di quell'unicità del terroir che Thcelicheff colse immediatamente, e del meticoloso lavoro da lui svolto in vigna ed in cantina, proseguito da Michel Rolland a partire dal 1991, e tutt'ora portato avanti sin dal 2002 da Axel Heinz.

Il vigneto del Masseto, che ha un’altitudine massima di 120 metri sul livello del mare, è suddiviso in 3 macro-aree: il Masseto Alto, quello Centrale, e quello Junior (più in basso). Ciascuna di queste 3 zone ha delle caratteristiche peculiari, e pertanto riesce ad imprimere al Merlot 3 volti completamente differenti. Nel Masseto Alto i terreni sono meno profondi, sabbiosi e piuttosto sassosi, da cui il Merlot acquisisce principalmente la spina fresco-sapida. Dal Masseto Centrale, per la sua grande concentrazione di argille, si ottengono vini di grande struttura e concentrazione fenolica. Nel Masseto Junior, infine, il suolo è una combinazione dei 2 precedenti, e se ne ricava il Merlot più morbido e meno concentrato: quello che conferisce nel taglio il tocco di finezza.
In ognuna di queste 3 macro-zone, inoltre, ci sono delle aree più piccole, in cui le uve maturano in momenti diversi, e vengono vendemmiate separatamente. Tutto ciò si traduce in un grandissimo lavoro in cantina, poichè ogni singolo vino base viene vinificato in maniera totalmente diversa, sia per temperatura di fermentazione, per la durata della macerazione sulle bucce, che per il numero di rimontaggi. 
Una parte dei vini base fermenta in barrique, una parte in acciaio per poi passare in botte, sino ad un anno di maturazione. A questo punto avviene l'assemblaggio, composto da un mosaico di microvinificazioni diverse, solo quelle ritenute all'altezza, da cui si ottiene finalmente il Masseto, che maturerà per 1 anno ulteriore in barrique prima dell'imbottigliamento.
Un lavoro certosino, che si traduce in un vino all'altezza del blasone, che mantiene una sua riconoscibilità, e comunque fedele all'annata.

Ho avuto la fortuna di degustare due annate contigue, ma profondamente diverse: 2000 e 1999. 

Masseto 2000
La 2000 è stata una vendemmia un po' controversa, calda, iniziata già a fine agosto e durata fino a metà settembre. Nel calice si tinge di un granato pieno, ancor più maturo nell'orlo del calice, denso, di media concentrazione cromatica e vivacità. Il naso è cupo, scuro e terroso, in cui le note speziate, balsamiche, funginee e di sottobosco si intrecciano a quelle di carruba secca, tabacco, frutti rossi sotto spirito e poutpurri di fiori. Il sorso è ricco e vellutato, si allarga generosamente nel palato con una importante e piacevole sensazione pseudocalorica. Da contraltare troviamo una vitale freschezza di supporto a tannini perfettamente risoluti, ed intrecciata ad una lieve predominanza salina che mette il timbro insieme ai lunghi richiami scuri e terrosi. Un vino indubbiamente evoluto, a tratti lento, a momenti restio nel venir fuori dal calice, in una situazione di equilibrio sottile, ed al massimo della sua parabola evolutiva.

Masseto 1999
La 1999 è stata l'ultima annata di un triennio piuttosto felice: la vendemmia si è svolta regolarmente a metà settembre, e tutte le parcelle sono state raccolte nell'arco di 7 giorni. Fa sfoggio di un'integra, vivida e concentrata veste rubina che sfocia su riflessi granati nell'orlo del calice. Al naso subito tanta frutta rossa matura, come prugne e mirtilli, che si alterna ad una speziatura dolce di cannella e vaniglia, ed a note fresche e mentolate: il tutto su uno sfondo tostato di cacao, caffè e scatola di sigaro. In bocca è pieno, d'impatto, morbido e con l'alcool perfettamente integrato. Ha una freschezza disarmante, tannini fitti, vigorosi ma di grande fattura, ed una piacevole e stimolante sapidità a chiudere un sorso di carattere e perfettamente equilibrato, completato da una lunghissima carrellata in cui si ripetono puntualmente, e con coerenza, tutte le sfaccettature aromatiche. Un fuoriclasse capace di regalare grandi emozioni, e con le carte in regola per sfidare ulteriormente il tempo.

Prezzo in enoteca: 600€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: www.masseto.com 

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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martedì 6 marzo 2018

Cantine del Mare: Falanghina 2003 e Piedirosso 2015

Di Antonio Indovino

Campi Flegrei Falanghina e Piedirosso DOC, Cantine del Mare, 2003 e 2015

La "vigna anfiteatro" di Monte di Procida coperta dalla neve
Ci troviamo a Monte di Procida, a fianco al Lago Miseno, affacciati sul Golfo di Napoli: quasi a toccare con mano l'isola dell'arcipelago campano che dá il nome al promontorio. Qui nel 2003, una coppia di imprenditori, Gennaro Schiano e sua moglie Alessandra Carannante, hanno dato vita ad una nuova realtà vitivinicola, Cantine del Mare, nella parte più ad est del comprensorio. Dapprima hanno ristrutturato un antico cellaio in tufo, nel quale è stata ricavata una piccola cantina, opportunamente rivista per conservarne comunque il fascino, poi si è lavorato nella vigna adiacente al casolare, riqualificando quelle vecchie "pergole puteolane" che hanno dato vita, proprio nel 2003, alle primissime bottiglie di Falanghina e Piedirosso. I risultati incoraggianti, a dispetto dell'annata avversa sul piano climatico, sono stati uno sprono ulteriore per Gennaro e Sandra, che hanno deciso così di estendere ulteriormente il loro vigneto, rivalutando un vero e proprio anfiteatro naturale affacciato sull’isola di Procida, in cui viene storicamente allevata a piede franco la Falanghina. Successivamente si sono aggiunte altre vigne a Bacoli (Bellavista) ed a Pozzuoli, più precisamente a Cigliano, dove si trova l’altro vigneto storico, incastonato tra i boschi che contornano un vecchio cratere ormai spento. Dal 2004 c’è stata la supervisione di Maurizio De Simone, che ha poi ceduto il testimone a Davide Biagiotti, entrambi coadiuvati dallo stesso Gennaro, onnipresente nella trasformazione delle uve, e nella gestione diretta e meticolosa degli 8ha di vigne. Quest’oggi sono qui a parlarvi di due vini dell'Azienda, la Falanghina prodotta nella prima annata, la 2003, ed il Piedirosso 2015. Doveroso è il ringraziamento che faccio al mio amico Mimmo Sabatino, dell'enoteca Masseria delle Grazie, per avermi dato la possibilità di assaggiare entrambi i vini. 


Falanghina dei Campi Flegrei 2003
Nonostante l'andamento climatico non fosse stato dei più favorevoli, e nonostante Gennaro fosse alle sue prime esperienze, questa Falanghina è stata in grado di sfidare il tempo con grande disinvoltura. Le uve, frutto di vecchie vigne dislocate nell'areale flegreo, sono state trasformate una parte in acciaio, una parte in barrique usate, maturando per 6 mesi prima dell'imbottigliamento. A 14 anni dalla vendemmia ci troviamo di fronte ad un vino vivido e ricco nella sua dorata concentrazione cromatica. Al naso fa inarcare le sopracciglia per nitidezza ed articolazione dei profumi, che si susseguono con dinamismo man mano che il vino acquista respiro nel calice. Il primo impatto è di idrocarburi, note balsamiche e mentolate, cui seguono profumi di zenzero, miele e pesca sciroppata. Il sorso è snello, morbido ed avvolgente in prima istanza, riequilibrato da una sottile e vitale freschezza che cede il passo ad una mineralità puntuta, cui si intrecciano i lunghi richiami aromatici, soprattutto terziari. Un bianco che parla sottovoce, che sa raccontare tanto purchè lo si attenda con pazienza senza strapazzarlo troppo, e che trova il suo equilibrio in un ampio calice tra i 10 ed i 12°C. Non azzardo abbinamenti in questo caso ma, piuttosto, invito a riflettere sulla longevità dei vini flegrei!   
   
Piedirosso dei Campi Flegrei 2015
Il suo Piedirosso “d’entrata” viene vinificato in acciaio per il 70%, mentre la parte restante matura in botti grandi per 12 mesi. Tinto di un vivido color rubino non molto fitto, al naso colpisce per i toni affumicati, speziati e di sottobosco, impreziositi da profumi di amarene, di mirtilli e geranio. Il sorso è incentrato sulla piacevolezza di beva, sulla freschezza e sulla sapidità in particolar modo, ammorbidite dal tocco legnoso che ha ben rifinito la stuzzicante trama tannica e caratterizzato la chiusura di bocca con lievi rimandi speziati. Un rosso da apprezzare in un calice di media grandezza, tra i 14 ed i 15°C, con un Pollo alla Cacciatora.

Contatti: www.cantinedelmare.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 

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