giovedì 29 giugno 2017

Grand Siècle, Laurent Perrier

Di Antonio Indovino

Champagne AOC, Grand Siècle, Laurent-Perrier


Ci troviamo a Tours-sur-Marne, uno dei 17 villaggi classificati Grand Cru, incorniciato dalle Montagne de Reims, dalla Vallée de la Marne e dalla Côte des Blancs. La storia di Laurent-Perrier è iniziata qui nel 1812 con André Michel Pierlot, un mastro bottaio che si stabilì a Tours-sur-Marne come négociant di vini della Champagne. Proprio in questo villaggio, nelle parcelle di Les Plaisances e La Tour Glorieux, André Michel fondò una sua Maison de Champagne. Suo figlio Alphonse gli succedette e, senza avere alcun erede, successivamente lasciò tutto in eredità al suo cantiniere, Eugène Laurent. A seguito della sua morte accidentale nel 1887, la vedova di Eugène, Mathilde Emilie Perrier, prese il timone dell'attività e combinò il suo nome di famiglia con quello del marito, rinominando l’azienda Veuve Laurent-Perrier.
Sua figlia Eugénie Hortense ereditò la “Casa” nel 1925 ma pochi anni dopo, nel 1939, vendette tutto a Marie-Louise Lanson de Nonancourt.
Durante la Seconda Guerra Mondiale Marie-Louise ha gestito l'attività, fronteggiandone la crisi, mentre due dei suoi figli, Maurice e Bernard, avevano aderito alla Resistenza Francese. Nel 1948, all'età di 28 anni, Bernard de Nonancourt ritornò alla sua vita nella Champagne. La perdita di suo fratello Maurice in guerra ha fatto si che prendesse il suo posto alla Laurent-Perrier. Dopo aver seguito un rigido apprendistato sotto le direttive della madre, Bernard fu nominato presidente ed amministratore delegato dell’azienda. È in questa fase che si è assistito alla rinascita della Maison sotto gli impulsi dinamici ed innovativi di Nonancourt. Alla fine degli anni '70 la Laurent-Perrier fu la prima “Casa” di Champagne a spostare la vinificazione dal legno all'acciaio per controllare le temperature durante la fermentazione. Una novità assoluta, nonostante i tini di acciaio si usassero già da diversi anni, così come l'Ultra Brut lanciato nel 1980 fu il primo Champagne non dosato ad essere commercializzato. Una ulteriore svolta è arrivata poi nel 1982 con la nomina di Alain Terrier come capo-cantiniere. Grazie a lui è stata perfezionata l’arte dell’assemblaggio per arrivare alla perfetta fusione tra lo stile aziendale e l’espressione più pura del terroir di provenienza.
Non solo innovazione da parte di Bernard, ma rispetto in primis della tradizione pluricentenaria ed una grandissima abilità commerciale: un mix di fattori che l’hanno portato a creare uno dei brand più rinomati.
La sua scomparsa nell’Ottobre del 2010 ha portato alla naturale successione delle figlie Alexandra e Stéphanie al timone dell’azienda che, forti di un’esperienza cinquantennale al fianco del padre e della man forte di Michel Fauconnet (capo cantiniere dal 2004), stanno proseguendo sulle sue orme nella continua ricerca, innovazione e promozione.

Quest’oggi sono qui a parlarvi del Grand Siècle, il primo grande

Bernard de Nonancourt
Champagne della Maison firmato Bernard de Nonancourt e Édouard Leclerc (il cantiniere di allora), nato nel 1957 come massima espressione e combinazione di quelle che per lui erano le caratteristiche imprescindibili: freschezza, eleganza e struttura. Una “Cuvèe de Prestige” che andasse oltre il concetto di “Vintage” e che nel suo assemblaggio racchiudesse la combinazione di 3 annate eccezionali (1952, '53 e '55) per ottenere un vino unico: la Cuvèe per eccellenza! Composto da Chardonnay per il 55% e Pinot Nero per il 45%, è il frutto di uve provenienti da 11 dei 17 villaggi Grand Cru, solo delle annate dichiarate Vintage. Questo da me provato, probabilmente, è anche l’ultimo Grand Siècle su cui Bernard ha messo mano personalmente, considerando che è frutto dell’assemblaggio delle annate ’97, ’99 e ’02 (predominante), e tenendo presente della sua scomparsa nel 2010 e che la sboccatura non avviene mai prima di 8 anni: forse non l’ha nemmeno provato! Attualmente in cantina sono conservate in parte le annate 2007 e 2008, in attesa della 3° annata che andrà a comporre il prossimo Grand Siècle.

Nel calice si presenta con una brillante veste dorata impreziosita da un perlage di rara fattura e persistenza. Al naso il primo impatto è gessoso, marino, balsamico e di erbe aromatiche. Successivamente lo spettro olfattivo si arricchisce di profumi che ricordano gli agrumi canditi, la brioche, una fragrante nota di pane appena sfornato ed un sottofondo affumicato e di caffè tostato. Il sorso è di grande impatto e finezza, cremoso ed avvolgente, sorretto da una grande spalla fresco/sapida che ne bilancia magistralmente l'opulenza ed impreziosito da una interminabile chiusura di bocca in cui la fanno da padrona le note affumicate, salmastre ed erbacee. Uno Champagne destinato a sfidare il tempo con grande disinvoltura e capace di regalare non poche emozioni a chi saprà attenderlo con pazienza: proprio come avrebbe voluto Bernard de Nonancourt.

Ho avuto modo di apprezzare appieno questo Grand Siècle ad una temperatura leggermente più alta di quella consigliabile per la tipologia, intorno agli 8°C, in un calice più voluminoso della classica flûte e dall'apertura comunque stretta: in modo da garantirgli maggior respiro e non penalizzare eccessivamente la carbonica.
Personalmente ritengo che possa essere il compagno ideale di qualche fettina di Salmone Selvaggio affumicato con salsa al Mojito. 

Prezzo in enoteca: 120-150€
Contatti: www.laurent-perrier.com
Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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mercoledì 21 giugno 2017

Villa Bucci Riserva 2007

Di Antonio Indovino

Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva DOC, Villa Bucci, 2007 (Magnum)


Ci troviamo nella valle del fiume Misa, a Pongelli.
È qui che nel 1933 la famiglia Bucci si stabilizza acquistando dei terreni dal Duca di Montevecchio. Viticoltori da sempre, decidono ovviamente di perpetuare la loro tradizione edificando una cantina su due livelli (di cui uno sotterraneo) ad Ostra Vetere. La svolta nell'attività vitivinicola avviene però 40 anni più tardi.

A fine anni '70 Ampelio Bucci, consulente in marketing nel mondo della moda, nonchè grande appassionato di vini francesi, decise di allontanare la sua attenzione dagli ambienti mondani Milanesi per realizzare nella sua tenuta marchigiana il sogno di produrre un vino simbolo, di nicchia, che incarnasse per eleganza ed unicità nel calice quelli che erano i vini transalpini che tanto gli piacevano.
Erano anni in cui le "varietà internazionali" spopolavano in tutto il territorio nazionale, ma la scelta cadde sull'autoctono Verdicchio: proprio per uscire fuori dal coro e perchè meglio si adattava al contesto pedo-climatico di quelle colline.
Una visione che necessitava di una figura tecnica altrettanto visionaria nel suo approccio. Fu così che le strade di Ampelio e dell'enologo altoadesino Giorgio Grai si incrociarono in un matrimonio che prosegue tutt'oggi.
La peculiarità di queste vigne di Verdicchio risiede nella matrice argilloso-calcarea del suolo. L'argilla è fondamentale perchè in questa zona dal clima siccitoso nei mesi estivi riesce a sopperire la scarsa piovosità con la sua funzione meccanica. La forte presenza di calcare attivo, e di calcio quindi, regola tutti i processi biochimici del suolo, concorrendo alla diretta assimilazione e sintesi di acidi fissi nelle uve. L'unico effetto negativo del calcare è la rifrazione dei caldi raggi solari sulle uve: inconveniente risolto con un sesto d'impianto di moderna concezione, a spalliera, non molto fitto e con una potatura a guyot più in alto del solito per mantenere una maggiore distanza dal suolo. 

Una cura maniacale del vigneto ed una produzione fortemente contenuta entro i 60 q/ha completano il quadro di tutto ciò che avviene al di fuori delle mura della cantina.
Le uve, rigorosamente raccolte e selezionate a mano, vengono vinificate in acciaio, come allora nella cantina storica. La Riserva passa nelle vecchie botti di rovere di slavonia (da 50/75 hl) di 80 anni fa, col solo scopo di regalare ai vini una lenta micro-ossigenazione ed una lunga maturazione (di un anno e mezzo) in cui possono sviluppare tutte le loro peculiarità. All'epoca delle prime sperimentazioni a Pongelli girava la voce che ci fossero due matti che volevano invecchiare il Verdicchio: proprio così, due matti che ci hanno creduto ed hanno fatto la storia di questo vitigno!
Negli anni si è arrivati poi alla consapevolezza che un grande vino potesse nascere da una opportuna cuvèe dei vini delle diverse vigne, che pertanto vengono vinificate separatamente e poi assemblate: le migliori espressioni dei vigneti più vecchi (40 e 50 anni) concorrono alla realizzazione della Riserva.
La quadratura del cerchio la si raggiunge infine con un ulteriore affinamento in bottiglia di almeno un anno per le etichette più prestigiose.

Quest'oggi sono qui a parlare proprio della Riserva del Verdicchio

un Magnum targato 2007.
Nel calice si presenta con una luminosa e consistente veste paglierina dai bagliori dorati. Al naso sprigiona profumi di pesca gialla matura e caramella al limone, di mimosa e fieno, di miele e gesso, completati da una nota di fondo di eucalipto ed erbe aromatiche. Il sorso è d'impatto, caldo ed avvolgente, equilibrato e sorretto da una buona spalla acida e sapida, ed impreziosito da una lunga e coerente chiusura di bocca.

Ho avuto modo di apprezzare al meglio questo Verdicchio ad una temperatura che idealmente si aggira intorno ai 12°C, in un calice piuttosto ampio, dopo averlo stappato con un'oretta di anticipo.
Personalmente ritengo che possa essere il compagno ideale di un filetto di Dentice con pizzaiola di Datterini Gialli e salsa di Peperoncini Verdi.
 

Prezzo in enoteca: 60-70€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti:
www.villabucci.com


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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lunedì 12 giugno 2017

Greco di Tufo, Fonzone Caccese, 2011

Di Antonio Indovino
 
Greco di Tufo DOCG, Fonzone Caccese, 2011

Dopo settimane trascorse a cercar di capire qualcosa in più sui vini calabresi, arriva la serata in cui hai voglia di qualcosa di "tuo", della tua regione.
È così che ti dirigi in cantina col pallino di stappare qualche bottiglia lasciata nel dimenticatoio, di cui avevi prospettato una certa evoluzione, dalla quale aspetti risposte a quelli che erano stati i tuoi pronostici.
L'attenzione è caduta su una bottiglia di Greco di Tufo di Fonzone Caccese targata 2011. Le positivissime impressioni di fine estate 2012 mi indussero a conservarne alcune bottiglie da provare a distanza di 4/5 anni almeno, e così è stato. Avendo avuto modo di parlare in precedenza dell'azienda Fonzone ed in particolare del Fiano Sequoia 2013, vi rimando al seguente (
link) per informazioni e curiosità sul profilo aziendale.
Veniamo dunque all'assaggio ed a quelle che sono state le conferme nel calice!

La conferma di un'Azienda e di un enologo ed agronomo (Arturo Erbaggio) che hanno voglia di fare bene, la conferma di un vino che ha mantenuto il patto col tempo durante il quale ho semplicemente cercato di conservarlo nel migliore dei modi e resistito alla tentazione di aprirlo.
Solo acciaio per questo Greco da vigne di Santa Paolina, che solitamente completa la sua maturazione in acciaio a contatto con le fecce fini per circa 5 mesi prima dell'imbottigliamento e della commercializzazione. Sono 5 gli anni di evoluzione in bottiglia che gli hanno regalato la compiutezza, la massima espressione e grado di apprezzamento.


Alla vista affascina per la sua vivida veste oro, che trova riscontro all'olfatto in note di nespola e papaya mature, di gelèe all'arancia, di fiori di ginestra e finocchietto selvatico leggermente appassiti, in note minerali di zolfo e polvere pirica. Il sorso è d'impatto, secco, avvolge piacevolmente il palato facendo leva su una buona dose di acidità ed una sapidità che inizia a prendere il sopravvento senza pregiudicarne l'equilibrio gustativo. Appaga infine la chiusura di bocca, lunga e coerente nei rimandi fruttati e minerali.


La progressione nel calice è iniziata dopo mezz'ora dall'apertura, con una temperatura di servizio che si è rivelata ottimale intorno ai 12°C.
Personalmente ne consiglierei l'abbinamento ad un San Pietro al forno, con Patate, Capperi ed Olive nere.

Prezzo in enoteca: 10-15
Contatti:
www.fonzone.it


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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mercoledì 7 giugno 2017

Vigna di Capestrano, Valle Reale, 2009

Di Antonio Indovino

Trebbiano d'Abruzzo DOC, Vigna di Capestrano, Valle Reale, 2009

Eccomi ancora una volta a parlare con grande piacere di un vino di Valle Reale. Stavolta è toccata al Vigna di Capestrano 2009, la volta scorsa fu invece il pretesto per stappare il Montepulciano d'Abruzzo Vigneto di Popoli 2010 di cui potete leggere al seguente (link), unitamente alle informazioni di natura storica ed orografica.

Il Trebbiano Vigna di Capestrano è quello prodotto nell'omonima vigna nella quale si è sperimentata la vinificazione comparativa con i lieviti indigeni, quello che ha dato l'impulso significativo nella svolta dell'Azienda Valle Reale.
Si tratta di un vigneto allevato a Guyot, con una densità di circa 6700 ceppi per ettaro, caratterizzato da un suolo dalla matrice prettamente argillosa e sassosa, dall’alto contenuto di calcare.
L’escursione termica, che nasce dalla vicinanza del Gran Sasso, è enfatizzata dalla particolare posizione della vigna che va presto in ombra nel pomeriggio ed assicura una grande concentrazione di acidi. La costante ventilazione e la salubrità dell’ambiente assicurano, inoltre, la perfetta integrità delle uve: prerogativa indispensabile per le fermentazioni spontanee.
A seguito della raccolta manuale, le uve vengono sottoposte ad una soffice pigiadiraspatura. Il mosto, travasato in tini d'acciaio, rimane a contatto con le bucce per qualche giorno per favorire la solubulizzazione di tutte le sostanze in essa, e soprattutto su essa contenute: un passaggio fondamentale per innescare la fermentazione alcolica. Per tutta la fase macerativa e quella fermentativa, la temperatura viene monitorata, ma non indotta, per facilitare la naturale espressione dei lieviti indigeni.
La sosta in acciaio si protrae per un'anno, periodo durante il quale il vino resta a contatto con le fecce fini, poi, successivamente, il vino viene imbottigliato senza filtrazioni.

Nel calice il vino si presenta con una carica e vivida tonalità paglierina, ed una lieve opalescenza. Al naso è un continuo divenire nel calice: si va dal fieno al miele, dalla camomilla (infusa) alle albicocche sciroppate ed agli agrumi canditi, dall'anice stellato alla cera. Il sorso è teso, agile, morbido ed avvolgente al tempo stesso, fresco e succoso, lievemente sapido e con una lunga chiusura dove si ripetono soprattutto le note fruttate e di infuso.

Ho avuto modo di apprezzare il Vigna di Capestrano nella sua escalation in un ampio calice ad una temperatura di 13/14°C, dopo averlo accuratamente decantato e lasciato areare in una caraffa stretta ed affusolata.
Personalmente lo abbinerei agli "Spaghetti al Limone e Ricci di Mare".

Prezzo in enoteca: 25-30€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: www.vallereale.it
Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
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venerdì 2 giugno 2017

Torama, Vadiaperti, 2013

Di Antonio Indovino

Irpinia Coda Di Volpe DOC, Torama, Vadiaperti, 2013

Eccomi ancora una volta a parlare con grande piacere di un vino di Raffaele Troisi. Stavolta è toccata al Torama 2013, la volta scorsa fu invece il pretesto per stappare un Greco di Tufo targato 1995 di cui potete leggere al seguente (link), unitamente alle informazioni di natura storica ed orografica.

Sulla Coda di Volpe Raffaele ed il papà Antonio hanno scommesso tutto e subito, stra-convinti delle grandissime potenzialità di questo vitigno che era in via di estinzione nei primi anni '90: bistrattato e rilegato al solo ruolo di "taglio".
Così come per gli altri vitigni, anche nel caso della Coda di Volpe c'è stata un'approfondita analisi delle caratteristiche varietali e del tipo di morfologia/esposizione che fosse il più congeniale possibile. Di qui la scelta di favorirne le espressioni delle vigne a
Pietradefusi, in Contrada Vertecchia. Il Torama è la "selezione", nata nel 2011, il cui nome non è stato certamente scelto a caso. Difatti i contadini col termine dialettale torama stanno ad indicare proprio i suoli caratteristici di queste vigne, dalla matrice calcarea ed arenaria. Può sembrare superfluo ribadire ancora una volta la grande cura "paterna" di Raffaele per ogni singolo filare, ma è proprio in questo che va ricercata la chiave di lettura dei suoi vini: frutto di un lavoro attento e mai speculare tra le varie annate.

Veniamo dunque al Torama 2013, frutto di una vinificazione svolta integralmente in acciaio, con una sosta sulle fecce fini di 8 mesi circa prima di passare ad affinarsi in bottiglia.
Nel calice il vino affascina sin dalle prime battute per la calda e vivida tonalità che si avvicina all'oro, molto composto nelle roteazioni del calice. Al naso il primo impatto è minerale e vegetale, a ricordare la polvere di gesso ed il fieno. Successivamente il quadro olfattivo si arricchisce di profumi che riconducono al miele ed alla pera williams matura, completato infine da una nota carnosa di fiori di tiglio. Il sorso è teso in ingresso, avvolge il palato ed acquista spessore grazie anche ad una piacevolissima e stimolante scia sapida in cui si ripetono i timbri erbacei e di miele.

Ho avuto modo di apprezzare il Torama in un calice non molto voluminoso e di media apertura, ad una temperatura che idealmente dovrebbe avvicinarsi ai 10°C. Personalmente ritengo che possa essere il compagno ideale di un filetto di Rana Pescatrice al Forno, panato con del pane saporito alle erbe mediterranee.


Prezzo in enoteca: 20-25€
Contattti: www.vadiaperti.it


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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