venerdì 29 dicembre 2017

Grecomusc', Contrade di Taurasi, 2013

Di Antonio Indovino

Campania Bianco IGT, Grecomusc’, Contrade di Taurasi, 2013

Ci troviavo a Taurasi, più precisamente a Contrada Case d’Alto: una piana a 400 metri s.l.m., caratterizzata da un suolo ricco di cinerite vulcanica e calcare che compongono uno strato profondo fino a 2 metri. I Lonardo sono una famiglia di piccoli proprietari terrieri che hanno messo qui le proprie radici nell’XVIII secolo, portando avanti soprattutto la tradizione vitivinicola. Alessandro Lonardo, professore di Lettere (adesso in pensione) e Sommelier, ha iniziato la sua avventura come vinificattore nel 1992, anno in cui costituì insieme ad altri produttori locali una piccola cooperativa. Nel 1998, poi, diede vita alla sua Azienda Agricola Contrade di Taurasi, che già nel nome fa ben intuire la filosofia alla base di tutto: portare in bottiglia il concetto di zonazione dell’areale di Taurasi. Un concetto che l’azienda ha sposato in pieno collaborando con Enti di Ricerca Scientifica, e sperimentando pratiche
agronomiche ed enologiche fini alla valorizzazione della tipicità: prima tra tutte l’uso di lieviti selezionati in vigna. L’Azienda produce prevalentemente Aglianico con l’unica eccezione del Rovello Bianco, localmente noto come Grecomusc: un vitigno a bacca bianca autoctono della bassa Irpinia che cresce a piede franco, riscoperto e salvato da loro, ed iscritto dal 2009 tra le varietà da vino. Pochissimi ceppi anche ultra-centenari, da cui Alessandro ottiene circa 2500 bottiglie con la consulenza enologica di Vincenzo Mercurio, ed il supporto della moglie Rosanna e delle figlie Enza ed Antonella.

Quest’oggi vi parlo proprio del Grecomusc’, un bianco da Rovello con bassissime rese in vigna (35-50 q/ha) ed in vino (45-50%). La vinificazione avviene in acciaio ad opera di lieviti selezionati in vigna, preceduta da una breve macerazione pellicolare di 2 ore, dove matura con le fecce fini per circa 8 mesi prima di passare in bottiglia.

Tinto di un dorato luminoso, al naso sprigiona profumi di susine mature e fiori di camomilla, di finocchietto, salvia, timo, pietra focaia, idrocarburi, cenere, ed un tocco fumè di fondo. Il sorso è pieno, d'impatto, teso ed avvolgente al tempo stesso, con una grande freschezza e sapidità a dare slancio alla lunga e coerente chiusura di bocca.
Un bianco da bere tra i 10 ed i 12°C, con dei Mezzi Paccheri all'Astice.

Prezzo in enoteca: 15-20€
Contatti: www.contradeditaurasi.it
Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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giovedì 28 dicembre 2017

CUR, Bambinuto, 2012

Di Antonio Indovino

Vino Spumante di Qualità Extra Brut, CUR, Bambinuto, 2012


Ci troviamo a Santa Paolina, vicino Tufo, in uno degli areali in cui il Greco si esprime ai suoi massimi livelli qualitativi. Qui nel 2006, in un periodo difficile per il calo dei prezzi delle uve, è iniziata l’avventura da vinificatore di Raffaele Aufiero che, anzichè vendere le proprie uve, decise di dedicarsi alla produzione di vino sfuso. Con l’aiuto della moglie Anna, ed il supporto dei figli Antonio Michela e Marilena, inizia così a curare tutta la lavorazione dei 4 ha di vigneti di Greco, dislocati a Picoli e Paoloni. I risultati incoraggianti, poi, hanno portato alla svolta nel 2009, ad un’etichetta propria: complice la determinazione della figlia Marilena, nota a tutti come “la tosta” per il suo carattere deciso, che ha messo da parte la sua laurea in giurisprudenza per dedicarsi all’Azienda familiare. L'avventura, se mi si concede il termine, è inziata sotto il nome Bambinuto, che significa letteralmente "benvenuto" nel dialetto locale, ed inteso come un augurio per la nascita di un progetto ambizioso: tradurre l'amore per il Greco in tutte le spressioni enologiche, e nel modo più rispettoso possibile. Sin dall’inizio, col supporto dell’enologo vesuviano Antonio Pesce, la scelta è stata ben precisa: vinificare solo le uve di proprietà ed assecondare la maturazione del Greco in bottiglia, senza forzarne la prematura uscita sul mercato. Nel 2010, poi, è stata impiantata ad Aglianico e Falanghina un’altra vigna a C.da Toppole (Montemiletto), ed in cantina è nato il primo metodo classico da Greco (il Cur). Un ulteriore passo avanti è avvenuto nel 2013, con l’arrivo in cantina di una pressa a “polmone chiuso” e di un’imbottigliatrice: a sostituire il torchio ed abbandonare la criomacerazione delle prime vinificazioni, e ridurre stress ossidativi in fase di tappatura. Piccoli e significativi step di un’Azienda che viene su poco alla volta. Nel 2014, poi, un’ulteriore cambio di marcia: la conversione in BIO con l’agronomo Moschetti, e l’abbandono di protocolli prestabiliti e l’uso di lieviti selezionati in vigna con la consulenza enologica di Vincenzo Mercurio


Quest’oggi vi parlo proprio del Cur, il metodo classico da un’attenta selezione di filari e grappoli della vigna più in basso, a Paoloni, quella che analiticamente fornisce i requisiti necessari per la spumantizzazione. Perchè "Cur"? È un latinismo, la traduzione dell'avverbio "perchè", inteso non come punto di domanda, ma bensì come affermazione: perchè a noi piace il Greco, perchè a noi piace sperimentare, perchè noi abbiamo deciso di produrlo in tutte le sue espressioni, perchè racchiude in un solo termine tutte le nostre scelte e riassume il nostro percorso. Questa è stata la risposta di Marilena alla mia domanda in merito al nome scelto per questa etichetta.
Si tratta di una vera e propria chicca di cui sono state prodotte solo 600 bottiglie nel 2012. Ottenuto dalla pressatura soffice di grappoli interi raccolti ai primi di Settembre, il vino base fermenta ad opera di lieviti selezionati in vigna e resta in acciaio sui lieviti fino a Giugno dell'anno successivo, poi, in seguito, avviene la presa di spuma in bottiglia che si protrae per ben 60 mesi.

Nel calice si tinge di un paglierino brillante dai riflessi oro, ed impreziosito da un perlage di grande fattura. Ammalia al naso per le note tostate di crosta di pane, minerali di zolfo e polvere pirica, iodate e salmastre, di incenso e pera candita. Il sorso è d’impatto, tagliente, fresco e sapido, con un a lunga ed appagante chiusura in cui si ripropone puntualmente l'intero quadro aromatico. La bollicina ideale per il grande brindisi di fine anno, da bere a 6°C con una immancabile frittura di pesce accompagnata magari da una maionese alle erbe, o meglio ancora con un Risotto ai crostacei. Per tutti quelli che, ed in questo caso giustamente, vorranno bere orgogliosamente una bollicina campana.


Prezzo in enoteca: 20-25€
Contatti:
www.cantinabambinuto.com   
Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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giovedì 7 dicembre 2017

Caiatì, Alois, 2015

Di Antonio Indovino

Terre del Volturno Pallagrello Bianco IGP, Caiatì, Alois, 2015

Ci troviamo a Pontelatone, in provincia di Caserta, alle pendici dei Monti Caiatini, in uno splendido altopiano che si estende su una superficie di 9ha. Qui Michele Alois, imprenditore serico nell'attività di famiglia, ha realizzato il suo sogno: un vigneto, la cantina ed una casa rurale borbonica. Il nome Alois fa parlare di sè dal 1885, anno in cui è nata in quel di San Leucio un'azienda commerciale che è divenuta, poi, una vera a propria industria tessile specializzata nella seta e famosa per la qualità dei suoi tessuti, presenti nelle sale più prestigiose del mondo: dal Quirinale alla Casa Bianca, passando per il museo del Louvre.....giusto per citarne alcuni esempi! San Leucio non’è famosa soltanto per la seta, ma anche per la Vigna del Ventaglio (oasi del WWF): un semicerchio diviso in 10 spicchi, in cui venivano coltivate le 10 varietà principali del Regno delle Due Sicilie. La viticoltura è rimasta radicata nel territorio, ed era proprio un sogno nel cassetto di Michele che si è avverato nel 1992, anno in cui ha dato vita ad un’azienda vitivinicola incentrata sulle varietà autoctone e strettamente locali. L’intento era di produrre vini per il consumo proprio, ma l’intraprendenza del figlio Massimo, indiscusso uomo chiave, ha prortato la Fattoria Alois a divenire un’Azienda affermata grazie alle sue abilità maturate nel settore commerciale della seta, costruendo intorno a sé una rete fatta di collaboratori con cui avere un vero e proprio contatto umano ed un controllo diretto in ogni singola fase. Un lavoro duro e certosino, fatto di equilibri da gestire e mantenere fuori e dentro all'Azienda stessa, con tanto impegno e sacrificio che però vengono ripagati nel calice! La vera svolta è arrivata con Riccardo Cotarella, winemaker di fama nazionale, e prosegue sotto le redini di Carmine Valentino

Questo’oggi sono qui a parlarvi del Caiatì, un Pallagrello Bianco in purezza, una delle 10 varietà preferite da Ferdinando IV di Borbone, all'epoca nota col nome di Piedimonte Bianco, e coltivata nella Vigna del Ventaglio. Questo vino deve il nome alla zona natìa, Caiazzo, dove furono scoperte alcune piante pre-fillossera grazie alle quali si è riusciti a ridare lustro a questa varietà autoctona. È ottenuto dalle uve della vigna di Casalicchio, un fazzoletto di 2,13ha a circa 300m di altitudine e dal suolo prettamente pozzolanico. Le viti sono allevate a spalliera, con potatura a guyot, una densità d'impianto di 4800 ceppi/ha ed una resa di circa 80q/ha. La fermentazione avviene in acciaio, dove svolge anche la malolattica, con una macerazione pellicolare che si aggira intorno ai 30 giorni, dopodichè il vino matura almeno 8 mesi, per il 70% della massa in acciaio ed il 30% in barrique, prima dell'imbottigliamento e della commercializzazione.

Nel calice si presenta con un vivido color oro e denota un corpo di tutto rispetto per il suo incedere lento e composto nelle roteazioni del calice. Il naso è d'impatto ed articolato: a note agrumate di pompelmo si susseguono nuances di ananas matura, miele di millefiori, erbette aromatiche, camomilla, curcuma, pepe bianco e gesso. Il sorso è altrettanto ricco, equilibrato, e di grande piacevolezza: calore e ricchezza glicerica giocano in sinergia con freschezza e sapiditá, fondendosi in una lunga chiusura dai rimandi erbacei, minerali e di miele. Un bianco pienamente godibile sin d'ora, ed a cui concedere ancora un margine d'evoluzione.
Personalmente lo berrei a 10°C in abbinamento a degli Spaghettoni con Alici, cime di Rapa, Pinoli tostati e Parmigiano.


Prezzo in enoteca: 10-15€
Contatti: www.vinialois.it


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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mercoledì 15 novembre 2017

Brecciaro, Leonardo Bussoletti, 2014

Di Antonio Indovino

Ciliegiolo di Narni IGT, Brecciaro, Leonardo Bussoletti, 2014

Ci troviamo in Umbria, più precisamente a Narni, in provincia di Terni.
È qui che nel 2006 inizia una nuova avventura per Leonardo Bussoletti: un cambio netto nella sua vita, passando da una sponda a quella diametralmente opposta. Dopo 25 anni da consulente commerciale, ed ormai stanco di esprimere concetti e status symbols che non gli appartengono, decide di puntare su se stesso, sulla sua terra e sulle sue tipicità. Ci troviamo in una zona storicamente nota dal 1800 per i prodotti agricoli, e vittima dell'industrializzazione del dopoguerra che ha portato tutti via dalla campagna alle fabbriche. Negli anni 70 ed 80, poi, il boom del vino che ha riguardato soprattutto Orvieto e Montefalco, ha portato ad una riscoperta di quest'area sotto un ottica diversa, anche se, in molti hanno rincorso la moda dei vitigni internazionali ed abbandonato la varietà tipiche come il Ciliegiolo.

La Cantina Sociale dei Colli Amerini è stata la prima a vinificare questa uva in purezza, di solito utilizzata per smussare il Sangiovese, ottenendone vini "quotidiani" e di pronta beva.
Nel 2006 Leonardo, in collaborazione
con il Prof. Valenti dell’Università degli studi di Milano, ha iniziato un lungo ed approfondito lavoro di ricerca sul Ciliegiolo: uno studio che ha portato ad individuare 30 biotipi diversi nella zona di Narni, da cui si è partiti con una selezione clonale e massale.
Leonardo non'è nè un agronomo, nè tantomeno un enologo, ma il suo concetto alla base di tutto è l'esperienza da appassionato/bevitore da cui poi è venuto tutto il resto. Non provenendo da una famiglia di agricoltori, il primo step è stato quello di comprare i terreni adatti al Ciliegiolo, ed in 10 anni è arrivato a 5,5 ha di vigna. Nel 2008 ha costruito la sua piccola cantina e nel 2010 ha imbottigliato la sua prima bottiglia: un vino tipico e che rispecchiasse il territorio, ma comunque non banale, pronto ed allo stesso tempo un vino con un margine di evoluzione e
di sicuro interesse futuro.
"Il mio vino deve essere un vino del territorio, deve rispecchiare la mia idea di vino da ciliegiolo, e comunque un prodotto più longevo del solito".
In seguito alla prima vendemmia ha iniziato a sperimentare anche con il Grechetto, piantandone due diverse tipologie in vigne diverse, anche perché le due varietà (quella di Todi e quella di Orvieto) hanno delle caratteristiche completamente opposte: uno più espressivo all'olfatto, l'altro capace di regalare vini di maggiore struttura.
Tutte le vigne sono condotte sin dall'inizio in biologico, ed intorno alle vigne ci sono macchie dappertutto e non coltivazioni intensive. Tutti i vini fermentano a temperatura controllata e maturano a lungo sulle fecce, prima di venir filtrati e stabilizzati a freddo: per esaltare profumi ed aromi, territorialità e peculiarità varietali: questo è il modus operandi di Leonardo Bussoletti!

Quest'oggi sono qui a parlarvi del Brecciaro, proprio un vino da Ciliegiolo, vinificato per il 70% in acciaio e per il 30% in botti grandi da 25 ettolitri. Matura sulle fecce fini per 12 mesi almeno, dopodichè, uniformata la massa, affina in
bottiglia per 9 mesi prima della commercializzazione.
 
Nel Calice si presenta di un colore rubino vivido dall'orlo granato, e trasparente. Al naso emergono profumi di ciliegia nera matura, di scatola di sigari, di pepe nero, con accenni di torrefazione, di violette ed inchiostro. Il Sorso è morbido, fine, elegante, fresco e con un Tannino appena percettibile, una piacevole sapidità ed una lunga scia fruttata e floreale. Un vino da bere ad una temperatura compresa tra i 14 ed i 16°C, magari in abbinamento ad un piatto di Pasta Mista con Cannellini, Cozze e Caffè.

Prezzo in enoteca: 10-15€
Contatti: www.leonardobussoletti.it


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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venerdì 13 ottobre 2017

Ribolla Gialla, Damijan Podversic, 2011

Di Antonio Indovino

Venezia Giulia Ribolla Gianna IGT, Damijan Podversic, 2011


Ci troviamo nel Collio Goriziano, a San Floriano del Collio: una piccola cittadina di meno di 800 abitanti. È qui che nel 1953 le vicissitudini della famiglia Podversic portano ad una svolta che diventerà poi significativa. In quell'anno il papà di Damijan, Franz, torna dal militare col sogno di dedicarsi alla sua più grande passione, la terra ed il vino, ma i genitori gli lasciano in eredità l'osteria di famiglia mentre i fondi di proprietà per assurdo vengono ereditati dai fratelli che non nutrivano il suo stesso interesse. Coi risparmi del lavoro da oste, nel 1972, riesce a comprare 2ha di vigna con lo scopo di produrre vino da proporre nella sua osteria. In quegli anni Damijan, appena ragazzino, inizia ad innamorarsi della viticoltura seguendo i lavori in vigna ed in cantina del nonno, dello zio e del papà, ovviamente. Qualche anno più tardi, nel 1984, in seguito ad una discussione in tavola tra il nonno (Gildo) ed il padre sull'approccio inconvenzionale di un vignaiolo del collio, Damijan resta profondamente colpito dalla strenua difesa di papà Franz (per lui mentore di vita) e da una frase divenuta per lui emblematica: questa persona ha ragione, per andare avanti nel mondo del vino bisogna tornare indietro (*)! Inizia così un percorso di avvicinamento di Damijan, che lo porterà a diventare allievo di questo personaggio "anticonformista": Josko Gravner.
15 anni più di lui, e già sufficientemente navigato in vigna ed in cantina, Josko trasmette a Damijan quelle che sono le sue esperienze dirette ed il sogno racchiuso nel suo cassetto: fare un grande vino da una grande terra!
Sulla base di questa esperienza, a dir poco significativa, Damijan, poco più che 20 enne ed al ritorno dal militare (nel 1987), decide di iscrivere la sua Azienda Agricola e di iniziare a produrre ed imbottigliare vino dalla vigna di famiglia. Nel momento in cui Franz capisce di aver perso il ruolo di maestro per il figlio gli vieta l'uso della cantina, seppur in affitto, senza dare motivazione alcuna: una rottura causata dalla gelosia per un sogno mai realizzato.
Avendo quindi trovato chiusa la "porta di casa", accadde che Damijan bussò quella di uno sconosciuto, Luciano Reghenaz, che lo guardò dritto negli occhi e gli disse: ragazzo questi sono i cavi, buona fortuna! Da allora sono passate ormai 17 vendemmie, e si continua a vinificare sempre lì.
Nonostante si verifichino episodi negativi come questo, la vita riserva sempre un pò di fortuna, e Damijan ha avuto quella di sposare una donna che condivide i suoi stessi sogni e che non gli ha mai remato contro nei momenti difficili, ma nutre la stessa speranza di costruire una cantina propria nel bel mezzo delle vigne.
Il più grande insegnamento che Josko Gravner gli avesse mai potuto trasmettere è stato quello di non accettare mai compromessi: come non dargli credito, perchè non credere al secondo uomo della sua vita a pronunciargli la frase che ha dato la svolta decisiva al suo percorso (*)?  Si sa che nella vita ci si ispira e si apprende da chi ne sa qualcosa in più, ma che si arriva poi ad una propria linea di pensiero.

Di seguito riporto alcune frasi di Damijan che credo riassumino al meglio quello che è divenuta con gli anni la sua idea sul mondo del vino.


D.P. "Il vino è alimento dell'anima, e nessuna bevanda è più spirituale di esso".

D.P.
"Ci si concede ad un vino solo se è un grande vino, quindi, un vignaiolo è obbligato a portare nel bicchiere 3 elementi fondamentali: croccantezza del frutto, la mineralità di un territorio ed il ritmo dell'annata".

D.P.
"Per fare un grande vino deve maturare il seme, che matura con ritmi differenti, secondo annate differenti".

D.P.
"Il vino in natura non esiste, perchè l'acino serve a proteggere il seme nella
caduta a terra, da cui nascerà poi una nuova pianta: questo è il percorso naturale dell'uva. Servono due cose tecniche per fare il vino: senza la vendemmia e senza la pigiatura non c'è vino".

D.P.
"Nessuna tecnica può migliorare ciò che da la natura, ma bensì, può solo cambiarlo".

D.P.
"La ricetta è la stessa da 8000 anni, ovvero, una grande terra ed un grande vitigno insieme alla cosa più difficile da avere in questo mestiere: un grande seme".

D.P.
"Nel momento in cui si ha un seme maturo, si ha un'uva matura, e si ha l'obbligo di preservare il lavoro di 364 giorni che si finalizza nel 365°, quello della vendemmia, per il quale si è lavorato duramente un anno intero".

Da anni sono stati abbandonati i dati analitici per calcolare il momento giusto per la vendemmia: Damijan e la sua spalla destra, Natale Fabretto
(45 vendemmie all'attivo), entrano in vigna da due zone opposte per poi incontrarsi alla fine e scambiarsi le reciproche opinioni.
Si concentrano su due fattori per loro fondamentali, due elementi chiave nell'uva: la buccia, per valutarne la maturazione aromatica, ed il seme, per la maturazione dei tannini e la loro dolcezza.

D.P.
"Natale ha le chiavi della cantina, va da solo ad assaggiare i vini per evitare che io possa essere accecato dei miei prodotti e giudicarli buoni solo perchè miei".

Confronto, dialogo, rispetto dei ritmi della natura! La sintesi dell'operato di Damijan.

Veniamo a questa Ribolla Gialla targata 2011, un'etichetta di cui solitamente vengono prodotte circa 7000 bottiglie l'anno. Frutto della vinificazione di Ribolla Gialla in purezza dal vigneto sul Monte Calvario, allevata a Guyot e palmetta speronata sul tipico suolo marnoso-sassoso (detto ponka), e con rese bassissime che sfiorano i 40 q/ha. Il protocollo di vinificazione di Damijan prevede che la fermentazione avvenga in tini troncoconici di rovere, con una macerazione pellicolare che si protrae per un periodo compreso tra i 60 ed i 90 gg. Al termine della stessa il vino resta a maturare in botti di 20/30hl per 23 mesi, ed in seguito viene imbottigliato senza filtrazioni.

Nel calice si presenta con un'opalescente veste dalla tonalità aranciata ed una grandissima concentrazione sia cromatica che estrattiva. Al naso il primo incipit è balsamico ed etereo, speziato di pepe bianco, fruttato di albicocche secche ed arance candite, di tè alla pesca, di caramella al mou e di millefiori: il tutto su uno sfondo salmastro. Il sorso mette in riga per la sferzata fresco-sapida ed una percettibile astringenza che riequilibrano il primo impatto calorico e carezzevole, ed accompagnano in un allungo impreziosito dai richiami soprattutto fruttati, salmastri ed eterei.

Ho avuto modo di apprezzare questa Ribolla Gialla in un ampio calice, servito ad una temperatura che dovrebbe aggirarsi idealmente tra i 14 ed i 15°C. Personalmente ritengo che possa essere la compagna ideale di una Zuppa di Zucca e Patate.

Prezzo in enoteca: 30-35€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: www.damijanpodversic.com


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
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mercoledì 4 ottobre 2017

Lacrimabianco, Cantine Olivella, 2016

Di Antonio Indovino

Lacryma Christi del Vesuvio DOP, Lacrimabianco, Cantine Olivella, 2016


Eccomi qui, ancora una volta, a parlare di un vino del vesuviano e, di un'azienda che ha fatto della rivalutazione delle varietà autoctone il suo modus operandi: Cantine Olivella di Andrea Cozzolino, Ciro Giordano e Domenico Ceriello.

Avendone già scritto in precedenza, ed in particolare del Katà, vi rimando all'articolo precedente
(link)
per informazioni più dettagliate sul contesto storico ed orografico.

Quest'oggi sono qui a parlarvi del Lacrimabianco 2016, un Lacryma Christi Bianco da Caprettone e Catalanesca (80 e 20%), allevati con una densità d'impianto di circa 4000 ceppi/ha, a spalliera e con potatura a Guyot, sul suolo vulcanico delle pendici ovest del Vesuvio. La vinificazione avviene esclusivamente in acciaio, dove il vino resta a maturare "sur lies" per 3 mesi prima dell'imbottigliamento.
 

Nel calice questo vino si tinge di una vivace tonalità paglierina dai riflessi verde-oro. Al naso regala nuances agrumate di pompelmo, di nespola non perfettamente matura, di fiori di ginestra, di lacca e mandorla. Al palato è morbido e ben sostenuto da freschezza e sapidità, ed impreziosito da una lunga e piacevole chiusura agrumata ed eterea. Un bianco da bere a 10°C con un’Insalata di Calamari Gamberi.

Prezzo inenoteca: 5-10€
Contatti: www.cantineolivella.com

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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venerdì 29 settembre 2017

Pietramara Etichetta Nera, I Favati, 2015

Di Antonio Indovino
Fiano di Avellino DOCG, Pietramara Etichetta Nera, I Favati, 2015

Eccomi qui, ancora una volta, a parlare di un Fiano e di un'azienda che si è imposta tra le più rappresentative nella tipologia: I Favati di Rosanna Petrozziello, del marito Giancarlo Favati e del cognato Piersabino.

Avendone già scritto in precedenza, ed in particolare del Pietramara Etichetta Bianca targato 2011, vi rimando all'articolo precedente
(link)
per informazioni più dettagliate sul contesto storico ed orografico.
Il Pietramara Etichetta Nera, vinificato esclusivamente in acciaio, nasce dalla parte più bassa della vigna di Atripalda, quella impiantata per ultima ed esposta a Sud-Ovest.

Nel calice questo Fiano si tinge di una lucente veste paglierina dai riflessi dorati. Al naso sprigiona profumi di mela golden e di ananas non perfettamente mature, di narcisi, di salvia e di mandorla amara. Il sorso è schietto, fresco e piacevolmente sapido, con una chiusura intrisa di sapidità e di aromi sia fruttati che erbacei.

Un bianco dell’avellinese da abbinare a 10°C con i Paccheri allo scoglio, o da conservare in cantina per qualche anno ancora, in modo da poterne apprezzare una ulteriore evoluzione in bottiglia.

Prezzo in enoteca: 10-15

Contatti: www.cantineifavati.it
Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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Terre Saracene, Ettore Sammarco, 2016

Di Antonio Indovino

Costa D'Amalfi Bianco DOC, Terre Saracene, Ettore Sammarco, 2016


La Casa Vinicola Ettore Sammarco prende vita nel 1962 sulla solida base della Azienda Agricola condotta proprio da Ettore Sammarco, agronomo e sognatore di una cantina tutta sua. È così che, pioniere in questa zona particolarmente vocata, ha iniziato a produrre vini di qualità a suo marchio anziché vendere le uve e lo sfuso. Hanno raccolto il testimone il figlio Bartolo, che segue tutti i processi dalla vigna alla bottiglia, e le figlie Antonella e Maria Rosaria che su occupano del settore commerciale. La storia della famiglia Sammarco si intreccia con quella del territorio che vede una viticoltura eroica portata avanti con grande sacrificio per la morfologia del terreno.
Infatti qui le viti si arrampicano in alto verso la sommità dei monti lattari con il mediterraneo e le sue brezze che regalano una preziosa funzione mitigatrice.
Gli arditi terrazzamenti sono raggiungibili soltanto attraverso ripidi e tortuosi sentieri, senza la possibilità di poter fruire di mezzi meccanici. Storiche specie varietali, risalenti all’epoca romana, sono allevate su un terreno di natura prettamente vulcanica e con il sistema a pergola o a spalliera. Sono quelle tipiche del territorio amalfitano ed insistono solo qui, integrate da poche varietà regionali.


Quest'oggi sono qui a parlarvi del Terre Saracene, ottenuto da Biancatenera, Pepella e Falanghina (nelle rispettive percentuali del 50, 30 e 2%), allevate a spalliera e pergola amalfitana, su un suolo prettamente vulcanico, con rese di 70/80 quintali per ettaro e vinificate in acciaio a temperatura controllata con macerazione pellicolare a freddo che precede la fermentazione.


Questo vino nel calice si tinge di un vivace giallo paglierino dai riflessi giovanili. Al naso regala un ventaglio olfattivo che spazia dai toni erbacei di salvia e timo limonato, alle nuances di pera e kiwi, ai fiori di sambuco ed un tocco marino/salmastro.
Il sorso è asciutto e di media struttura, dotato di una buona morbidezza, fresco e sapido. Ben equilibrato e di buona intensità e persistenza, gratifica il palato con una lieve nota ammandorlata nel finale.

Un vino bianco della Costiera da abbinare a 10° C, per esempio, ad un piatto di Spaghetti Gamberi e Zucchine.

Prezzo in enoteca: 10-15€
Contatti: ettoresammarco.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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mercoledì 27 settembre 2017

Cerasuolo Di Vittoria, Cos, 2012

Di Antonio Indovino

Cerasuolo Di Vittoria Classico DOCG, COS, 2012


Siamo nell’estremo sud-orientale della Sicilia, in quella porzione di terra dove le barriere architettoniche e la vegetazione generano colori, profumi e sapori della vicina Africa.
Qui c’è Vittoria, una città della provincia di Ragusa. Il suo territorio è chiuso tra i fiumi Ippari e Dirillo, e degrada dolcemente dai monti Iblei al Mar Mediterraneo. La differenza di altitudine rispetto alla zona collinare del Ragusano determina temperature tendenzialmente più miti. Questo fattore ha influito notevolmente sullo sviluppo delle principali colture del territorio Vittoriese e della piana di Comiso, rendendo difatti la zona assai ambita nel corso dei secoli.
Chiunque abbia conquistato queste terre ne è rimasto a sua volta conquistato. I popoli che si sono succeduti hanno lasciato la loro impronta, il loro sapere nelle tecniche di coltivazione antiche, come è antico il vino di queste terre.
L’Azienda Agricola COS è stata qui fondata, nel 1980, da tre amici e deve il nome all’acronimo deli loro cognomi: Giambattista Cilia, Giusto Occhipinti e Cirino Strano. Nei primi anni ‘80 presero in affitto da Giuseppe Cilia, padre di Giambattista, la vecchia cantina di famiglia e l’attigua vigna ad alberello nella storica località di Bastonaca. È un’eredità importante la loro, visto che si tratta di una terra che ospita la viticoltura da 3000 anni almeno: una sfida raccolta con grande umiltà e trasgressione al tempo stesso!
Si, avete letto bene: trasgressione, da intendersi come concezione del vino in forma artistica, come sintesi liquida della storia loro e della loro terra!
Non hanno seguito nessuna moda, soltanto la passione e la curiosità per un mondo che a quei tempi in Sicilia era ancora sconosciuto ai più. Hanno recuperato, trasmesso e migliorato con le conoscenze attuali, un prodotto d’eccellenza.
L’Azienda segue i principi dell’agricoltura biodinamica, un metodo di coltivazione basato sulla visione del filosofo Rudolf Steiner, che invita a considerare come un unico sistema sia il suolo che la vita che si sviluppa su di esso. Agricoltura biodinamica significa rispetto, significa non chiedere più di quanto la natura non sia in grado di offrire. È per questo motivo che in COS hanno sviluppato progetti che riguardano la fitodepurazione delle acque reflue di cantina e il compostaggio dei residui di potatura senza uso di sostanze chimiche né di preparati artificiali.
Nel 2003, terminati i lavori di restauro del caseggiato di Fontane, è iniziato il tasferimento graduale della cantina. Il 2005 è stato l’anno della prima vendemmia a Denominazione d’Origine Controllata e Garantita, unica in Sicilia. La vendemmia del 2007 ha invece inaugurato ufficialmente la nuova cantina ed ha segnato ancora una volta un capitolo importante nella storia di questa azienda, con il passaggio a 150 anfore di terracotta per la fermentazione e maturazione dei vini: una delle più capienti nel suo genere. Negli anni Cos è divenuta il sinonimo imprescindibile del Cerasuolo di Vittoria, ma anche di rigore e qualità: a questa azienda, ed all’intuizione di tre amici, si deve la rinascita del comprensorio di Vittoria e dei suoi straordinari vini.

Quest’oggi sono qui a parlarvi del Cerasuolo di Vittoria Classico del millesimo 2012, ottenuto da Frappato di Vittoria e Nero d’Avola, nelle rispettive percentuali del 40 e 60%, allevati a spalliera e con potatura a Guyot. Le viti si trovano ad una altitudine di 240-250 metri s.l.m., hanno un’età media di 20 anni, una densità d’impianto di 5.000 ceppi per ettaro, e vegetano su un suolo misto caratterizzato da terre rosse, e da sabbie sub-appenniniche di origine pliocenica (di natura calcarea). La vinificazione delle uve avviene separatamente, in vasche di cemento vetrificate, con fermentazione spontanea e macerazione pellicolare. Successivamente il Nero d’Avola passa in botti di rovere di Slavonia per 12 mesi. Dopo l’assemblaggio il vino resta ad affinare ulteriormente in bottiglia per 6/12 mesi (secondo annata) prima della commercializzazione.

Nel calice ci troviamo dinanzi ad un vino dalla vivida e trasparente tonalità rubina dall’orlo granato.
Di grande intensità al naso, sprigiona profumi di violette, di prugne e ciliegie nere, di erbe aromatiche e balsamiche, di tabacco, di incenso ed accenni tostati che ricordano il caffè.
Il sorso è elegnate e sontuoso, fresco e sapido, con un tannino comprimario ma di grande finezza.
Chiude con lunghi richiami balsamici e tostati.
Servito in un calice di media grandezza ed apertura, intorno ai 14/15°C, potrebbe ben accompagnare un piatto di Ravioli ai formaggi dolci con salsa di Porcini.

Prezzo in enoteca: 15-20€

Contatti: www.cosvittoria.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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venerdì 15 settembre 2017

Pietranera, Marco De Bartoli, 2015

Di Antonio Indovino

Pantelleria Bianco DOC, Pietranera, Marco De Bartoli, 2015

Ci troviamo in provincia di Trapani, a Marsala, più precisamente a Contrada Fornara Samperi.
È qui che Marco De Bartoli si è trasferito negli anni '70, con una laurea in Agronomia sotto al braccio e la testa piena di idee e progetti purtroppo non condivisi nell'azienda vinicola di famiglia.
Ha iniziato quindi un duro lavoro di rivalutazione della vecchia proprietà e delle varietà autoctone per poi ristrutturare le cantine storiche dell'ottocentesco Baglio Samperi. Si tratta di un luogo a dir poco affascinante e ricco di storia e di una tradizione bicentenaria nella produzione del Marsala e dei vini dolci. Pertanto, mosso dalla volontà di ridare lustro ad una Denominazione (Marsala) ormai in declino, cerca di portare nel calice tradizione ed innovazione al contempo. È così che nel 1980 imbottiglia il suo primo vino, il Vecchio Samperi, così chiamato in onore della contrada in cui era stato prodotuto. Da lì è poi iniziata una escalation senza freno alcuno per i suoi virtuosi vini, diventati col tempo famosi in tutto il mondo e sul cui successo è ripartita sotto una nuova stella l'intera viticoltura siciliana.

"Ha l’irruenza solare della sua terra: quando lo incontri vorrebbe raccontarti tutto in pochi minuti, e farti assaggiare tutto, spiegarti la sua gioia e la sua soddisfazione per giudizi positivi al suo vino e insieme vorrebbe esprimerti la sua rabbia per come viene considerato il vino del Sud e si fa meridionalista, e poi, all’improvviso, s’adombra contro gli uomini della sua stessa terra che hanno trasformato il nome Marsala, per decenni, in una parola quasi volgare.
Ha le lacrime agli occhi quando parla del degrado della sua Sicilia, si accende di furore; ma si distende subito, nei suoi mille progetti quando il bicchiere si accosta alle labbra.
Marco De Bartoli ha i segni guasconi della volontà di vincere su tutti i fronti e ha vinto, con la tenace, caparbia convinzione di essere nel giusto, e per dimostrarlo parla molto come si usa in Sicilia, non per raccontarsi, ma per permettermi di bere: è lì la sua prova più grande.
Il “Vecchio Samperi” è un vino che non ha nulla cui poterglisi paragonare. Unico, arrogante, potente, spavaldo, ma senza disarmonia, irripetibile. Ed è questo vino – per fortunissima avventura non si poteva chiamare Marsala perché non è fortificato come il disciplinare del Marsala Vergine prevede – che lo ha portato sulla scena dei grandi ove subito ha avuto il ruolo del protagonista" (cit. Luigi Veronelli).

De Bartoli è venuto meno nel Marzo del 2011 lasciando un testimone

importante nelle mani dei 3 figli Renato, Sebastiano e Giuseppina. Forti della passione e degli insegnamenti trasmessi dal padre, hanno perseguito gli stessi obbiettivi qualitativi affiancando alle storiche e prestigiose etichette anche espressioni in purezza delle varietà autoctone e degli spumanti Metodo Classico per sottolineare la "forza" del Grillo.

Quest'oggi sono qui a parlarvi del Pietranera, un bianco secco da Zibibbo in purezza. Si tratta di 3ha di vigne di 60 anni d'età, allevate ad alberello e con una densità di 2500 ceppi/ha sui terrazzamenti vulcanici di Pantelleria. Ad un'attenta selezione manuale delle uve segue una macerazione pellicolare a freddo di 24h, una decantazione statica a freddo di 48h e la fermentazione in vasche d'acciaio a temperatura controllata. Il vino vi resta poi a maturare per 6 mesi, prima dell'imbottigliamento e della commercializzazione 

Nel calice si tinge di un'elegante giallo paglierino dai bagliori dorati.
Al naso si apre su toni erbacei di timo in primis, fruttati di litchi non perfettamente maturi poi, seguiti da nuanceas di giglio e peonia bianca, e da sbuffi minerali, salmastri e iodati.

Il sorso è succoso ed avvolgente, ma comunque agile, rinfrescante e sapido, impreziosito da una lunga chiusura in cui si ripetono principalmente le note fruttate e minerali.

Ho avuto modo di apprezzare il Pietranera in un calice abbastanza voluminoso, ad una temperatura che idealmente dovrebbe aggirarsi tra gli 8 ed i 10°C.
Personalmente ritengo che possa essere il giusto accompagnamento di un Crudo di mare con biscotto di granturco e pomodoro.

Prezzo in enoteca: 20-25€
Contatti: www.marcodebartoli.com
Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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venerdì 8 settembre 2017

Resilienza, Donnachiara, 2016

Di Antonio Indovino

Beneventano Falanghina IGT, Resilienza, Donnachiara, 2016


Ci troviamo a Montefalcione, in provincia di Avellino, una cittadina nota già in epoca etrusca per il lavoro contadino difatti simboleggiato da una falce nello stemma comunale.
È qui che si trova Donnachiara, un’azienda che ha visto sorgere la sua moderna cantina nel 2005 ma che vanta una storia centenaria e dalla conduzione quasi tutta al femminile. Il nome scelto per l'Azienda è un omaggio a Donna Chiara Mazzarelli Petitto, nobildonna che circa un secolo fa aveva saputo condurre con grande capacità l’attività agricola di famiglia, dando particolare sostegno e valore proprio alla viticoltura.
Erano tempi particolarmente difficili, attraversati dai due conflitti mondiali e con un marito (Antonio Petitto) colonnello e medico della Croce Rossa Italiana, ed impegnato nel campo di concentramento di Mauthausen, in Austria.
Attualmente al timone vi è Ilaria Petitto che, messi nel cassetto gli studi di diritto e supportata da sua madre Chiara, sta conducendo sotto una nuova stella l'Azienda familiare con la consulenza dell'enologo Riccardo Cotarella.

Grazie al mio amico e Sommelier Mimmo Sabatino (agente di zona qui in

Penisola Sorrentina) sono qui a parlarvi in anteprima di un vino che sta uscendo in commercio proprio in questi giorni.
Si tratta del Resilienza, una Falanghina del beneventano prodotta in tiratura limitata di circa 2500 bottiglie. Perchè Resilienza?
Resilienza per la famiglia Petitto ha un significato speciale. Umberto, papà di Ilaria, è un industriale impegnato nel settore dei metalli. In famiglia spesso si parla di resilienza, che è un indice importantissimo per valutare la capacità dei metalli di resistere agli urti sino al limite elastico. Di qui il parallelismo all'azienda agricola che, seppur nata in un momento difficilissimo per il vino italiano e soprattutto Campano, ha tenuto duro, e creduto strenuamente in questo progetto.
Adesso Donnachiara sta cominciando a raccogliere i primi frutti di tanta fatica ed ha preso vita una Falanghina (che è un vitigno che sconta un pregiudizio di inferiorità rispetto ai più nobili Fiano e Greco) di struttura, nata per resiste al tempo ed agli urti e, capace di restituire slancio e freschezza: Resiliente proprio come lo è stata l'azienda Donnachiara.

Le uve, rigorosamente selezionate e raccolte a mano, vengono dai vigneti di Guardia Sanframondi, allevati a spalliera e con potatura a guyot su un suolo prettamente argilloso e calcareo. In cantina il mosto fiore subisce una macerazione pellicolare a freddo di poche ore prima della pressatura soffice e della fermentazione in tini di acciaio. Successivamente il vino viene affinato in bottiglia per circa un anno prima della commercializzazione.


Nel calice si fa apprezzare per una vivida tonalità paglierina piuttosto carica, seppur attraversata da bagliori giovanili. Al naso il primo impatto è tutto di frutti e fiori gialli, come l'ananas, l'albicocca ed il tarassaco: completati da un piacevole accenno vegetale ed ammandorlato.
Il sorso è opulento, caldo ed avvolgente, ma al contempo fresco e sapido: con una lunga chiusura di bocca che richiama i toni esotici e vegetali.


Ho avuto modo di apprezzare il Resilienza in un calice di media ampiezza ed apertura, ad una temperatura che idealmente dovrebbe aggirarsi tra gli 8 ed i 10°C. Personalmente ritengo che possa essere il compagno ideale di un Filetto di Spigola al forno in crosta di patate.

Prezzo in enoteca: 10-15€
Contatti: www.donnachiara.com
Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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mercoledì 6 settembre 2017

Fuori dal Tempo, Radikon, 2000

Di Antonio Indovino

Venezia Giulia Oslavje IGT, Fuori dal tempo, Radikon, 2000

Dopo una serie di "bevute spensierate" arriva una di quelle sere in cui hai voglia di qualcosa di "poco ortodosso": ammesso che l'ortodossia in campo enologico sia da collegarsi al termine convenzionale! È così che, spulciando su una carta dei vini in versione
digitale, l'occhio è caduto su di lui.....Radikon!
Avendone già scritto in precedenza, vi rimando agli articoli precedenti (link) per informazioni di natura storica ed orografica.


Stavolta è toccata ad un vino che rompe il ponte spazio/temporale con il mondo circostante trasportando il bevitore in un'altra dimensione, Fuori dal tempo targato 2000: ed il nome sembra avere una funzione premonitrice!
Chardonnay e Sauvignon (60 e 40%) da un vigneto di 3ha e 30 anni di età, allevato a guyot sul tipico suolo ricco di ponka.
Fermentazione spontanea in tini di rovere con macerazione pellicolare di 35 giorni, durante i quali vengono quotidianamente eseguite 3/4 frollature. In seguito il vino viene elevato in botti di capacità comprese tra i 25 ed i 35hl per 36 mesi ed affinato per 9 anni in bottiglia prima della commercializzazione: senza chiarifiche, filtrazioni ed aggiunta di solforosa.
Un'etichetta che fa parte delle selezioni, prodotta in tiratura limitata di poco più di 3000 bottiglie.

Di seguito  ne riporto le mie personali impressioni.
Aranciato ed opalescente alla vista (e non potrebbe essere altrimenti visto che è stato così concepito), è al naso ed in bocca che si riscatta nei confronti dei meno avvezzi alla tipologia.
Il ventaglio olfattivo si allarga man mano nel calice regalando ad ogni olfazione una percezione ben distinta. Si va dalle bucce di agrumi canditi alla frutta esotica essiccata, da foglie e fiori secchi alla frutta a guscio tostata, dalla scatola di sigaro al balsamico, dall'infuso di mela annurca e cannella allo zenzero, per finire con una nota di origano secco.
Il sorso è tagliente, in cui ad una morbidezza accennata in ingresso fanno da contraltare una sferzata di acidità, di quelle che mettono in riga, ed una sapidità che a tratti lo rende quasi masticabile dopo la deglutizione: ma solo per pochi istanti! La freschezza è tale da riequilibrare il palato ed allungarne lo slancio gustativo in cui, per via retronasale, si ripetono didascalicamente le sensazioni percepite sul piano olfattivo.


Ho avuto modo di apprezzare il Fuori dal tempo in un ampio calice ad una temperatura compresa tra i 14 ed i 16°C, e di poterne apprezzare la sua escalation nel bicchiere nel corso di una serata.
Personalmente ritengo che possa essere il compagno ideale di un piatto di "Cappelli ripieni di genovese di vitello su vellutata di Grana Padano, verdure disidratate e tartufo nero" (Chef Ernesto Iaccarino, Don Alfonso 1890).


Prezzo in enoteca: 90-100
Contatti: www.radikon.it

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mercoledì 30 agosto 2017

Tognano, Rocca del Principe, 2014

Di Antonio Indovino

Fiano di Avellino DOCG, Tognano, Rocca del Principe, 2014


Eccomi qui, ancora una volta, a parlare con grande piacere di un'azienda che di diritto si è imposta tra le più rappresentative della collina di Lapio: a dispetto della sua relativa gioventù.
Si tratta di Rocca del Principe, della scommessa (vinta) di Ercole Zarrella, di sua moglie
Aurelia Fabrizio e di suo cognato Antonio.
Avendone già scritto in precedenza, ed in particolare del Fiano targato 2010, vi rimando all'articolo precedente
(link)
per informazioni più dettagliate sul contesto storico ed orografico.

Quest'oggi è toccata al Tognano, un Cru in tiratura limitata di 2000 bottiglie, dalla vigna più vecchia dell'età di 30 anni
nella contrada omonima: ottenuto dalla selezione di uve da piante innestate con un clone centenario.
Alla pigio-diraspatura sono seguite 12 ore di macerazione pellicolare, 10 mesi in acciaio sulle fecce fini, di cui 7 con bâtonnages continui, poi 14 mesi di bottiglia prima della commercializzazione.
Il vino del cuore per Ercole, che a Tognano c'è nato ed ha trascorso la sua infanzia!  


Calice alla mano mi trovo di fronte ad un vino luminoso, ricco d'estratto e con una tonalità paglierina tendente all'oro.
Al naso il primo impatto è di buccia di limone quasi candita, mentuccia, poi infuso alla pesca, mela renetta, mimosa e lievi toni
fumè e di millefiori di fondo. In bocca è largo, caldo ma comunque sorretto da una buona freschezza e sapidità. Lunga la chiusura di bocca, che insiste soprattutto sul timbro affumicato e di infuso.
Un vino elegante, di stoffa, dalla grande personalità e di grande prospettiva, che saprà regalare ulteriori emozioni con il giusto affinamento in bottiglia.

Personalmente ritengo che, in un calice di media ampiezza e servito intorno ai 10°C,  possa essere il compagno ideale di un trancio di Spada alla griglia con salsa al salmoriglio e zucchine alla scapece.


Prezzo in enoteca: 20-25€ (per la ultime annate in commercio)
Contatti: www.roccadelprincipe.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
 


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